L’etica del Bushidō e la pace: quando la spada diventa cosmologia

di Lelio Antonio Deganutti

Nel contesto asiatico della Seconda Guerra Mondiale, un episodio riportato da un giornalista occidentale solleva un interrogativo profondo. Interrogando un alto generale dell’esercito imperiale giapponese sui massacri perpetrati contro la popolazione cinese, ricevette una risposta sconcertante:


“Non siamo noi a massacrarli. Sono loro che si stanno suicidando sotto la danza cosmica delle nostre spade.”

Non è una frase militare, ma una sentenza mitologica. La guerra non è più delitto, ma rito; non più volontà di distruzione, ma parte di un equilibrio universale. Qui, l’etica non serve a limitare la violenza, ma a giustificarla.

Il Bushidō : etica e violenza

Il Bushidō, o “via del guerriero”, è spesso presentato come un codice di onore, rettitudine e disciplina. Tuttavia, quando diventa strumento del potere totalitario, si trasforma in un dispositivo ideologico. Non è più guida spirituale, ma maschera che nobilita l’uccisione.

Il generale non si nasconde dietro la negazione, ma dietro una filosofia. La colpa viene rimossa: la spada non colpisce, danza; l’uomo non uccide, si fa canale di un ordine superiore. La responsabilità morale svanisce in una coreografia cosmica.

Taoismo applicato

L’affermazione del generale richiama concetti presenti nel Taoismo: il fluire naturale del mondo, l’armonia, l’assenza di forzature. Ma in questo caso, il Tao viene utilizzato come chiave di lettura per interpretare la violenza non come sopraffazione, ma come manifestazione di un ordine necessario. Il “wu wei”, il non agire, non diventa inattività, ma accettazione di ciò che accade come espressione del tutto.

In questa visione, l’altro non è più soggetto, ma scenario. Il massacro non è crimine, ma manifestazione del destino. È l’inversione dell’etica: il Tao come giustificazione dell’azione.

La pace imperiale

Che tipo di pace nasce da questa visione? Una pace silenziosa, assoluta, ottenuta con la forza. Non è il frutto del confronto, ma della sottomissione. È la fine del conflitto, l inizio dell’ Impero sacro.

In questa prospettiva, il Bushidō diventa estetica della violenza, spiritualizzazione del potere. La guerra assume tratti di necessità e purezza; la morte diventa parte di un disegno.


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