L’ARTE COME PUNTO NODALE PER LA TRASFORMAZIONE DEL MONDO

di Salvatore Penzone

Hegel non parla esplicitamente di morte dell’arte ma intende, in realtà, rintracciare un limite nella capacità di espressione che l’arte ha nei confronti dell’assoluto.

Da lì sembra quasi che, a fronte dell’impossibilità da lui teorizzata di poter andare fino in fondo nell’indagare lo spirito tramite la “rappresentazione”, l’artista abbia deciso di fare un passo indietro e guardare nella direzione opposta a quella verso cui fin lì aveva condotto la ricerca.

Da quel momento l’Arte sembra essere stata vittima di una deriva lenta e progressiva. Là dove il sensibile non offre più la trama per la ricerca dello spirituale, diventa il terreno per la rappresentazione del “finito” come espressione dell’idea di sé e del mondo. L’ideologia del finito, dell’esaltazione del contingente, insieme alla pratica del “consumo”, quello sì reiterato e senza fine, e della merce che diventa la forma attraverso la quale si stabilisce la relazione tra se e gli altri, tra se e le cose, è arrivata, subendo oggi la precipitosa “evoluzione” di cui siamo testimoni, a sostituirsi alla ricerca del senso dell’esistenza definendone i confini proprio in base alla perdita di “senso”.

L’impressione, però, è che il limite intravisto da Hegel non sia nell’Arte in sé’ ma nell’arte romantica o per meglio dire nell’idealismo romantico che pur aveva spinto la ricerca dello spirito fin dove sembrava possibile.

Perché l’arte greca sembra insuperata?

L’estetica permette di valutare l’esistente non dal punto di vista dei valori morali o di altri parametri umani sempre soggetti a continui adattamenti fino alla mistificazione ma dal punto di vista dell’armonia e dell’equilibrio tra le forze in gioco interne all’individuo, alla comunità e alla natura.

Per gli antichi le “forze” in gioco sono entità in sé, che muovono la natura manifesta perché ne sono la ragione immanente, coscienza che ne articola il divenire, espressioni di un assoluto in azione. Sono queste a mettere in scena la rappresentazione della realtà che vede coinvolta la vita dell’uomo e della comunità (pensiamo alla tragedia greca e al dramma satiresco). Di questo spettacolo ne percepivano la bellezza o anche l’incongruenza, il dissidio, e quindi l’assenza di equilibrio e di coerenza. A queste forze si attribuivano nomi che portavano in sé il sapore dei luoghi (l’origine geografica) e quello del carattere e della struttura psicologica che ne faceva entità con una loro “personalità”.

C’è forza, espressione, “colore”, ovunque volgiamo lo sguardo. Si può scorgere equilibrio, armonia, o anche il contrario, nelle azioni, nel comportamento, nel rapporto tra le persone o tra le cose, in un’emozione o in un pensiero, così come in un paesaggio o in una composizione visiva o sonora.

La bellezza è presente quando l’intento della vita non è contraddetto o addirittura negato, quando è espresso in modo schietto e oggettivo e sono assenti spossanti circonvoluzioni. Essa indica la giusta direzione che il flusso vitale e creativo deve prendere dentro e fuori di noi per oggettivarsi.

Nell’arte greca non vi è separazione tra l’assoluto e il sensibile. L’errore dell’idealismo è stato quello di credere che “tutto quel che è spirituale è superiore a ogni prodotto naturale”, mentre l’artista greco era, invece, consapevole dell’esistenza di una coscienza immanente della natura. In realtà è stato l’idealismo stesso a porre un limite alla ricerca dello spirituale nell’arte.

La coscienza Romantica non era stata in grado di completare il percorso e permettere, come lo stesso Hegel delineava nel suo pensiero, la risoluzione del finito nell’infinito, fermo restando però, secondo lui, una superiorità dello spirito sulla materia che ha contribuito a rafforzare il muro tra i due fondamenti dell’esistenza.

Risulta evidente a noi moderni come sia stata l’estromissione dello spirito a condurre il mondo alla tragica dissoluzione che stiamo sperimentando.

La rappresentazione pittorica o scultorea di una figura, di un oggetto materiale o di natura, infatti, diventa opera d’arte se riesce a porre in evidenza lo spirito che si nasconde nella forma.

L’impoverimento di cui è vittima il nostro mondo, insieme a una trama tesa a portare il “caos” in ogni ambito del vivere, in grande misura ordito e programmato, può essere superato solo restituendogli la dimensione spirituale, e questo oggi è possibile solo rivendicando e riconoscendo l’unità tra la Materia e lo Spirito.

In questa epoca di declino e crollo dei valori, il mondo può essere salvato solo attraverso il matrimonio, la profonda alchimia, che vede l’incontro tra verticale e orizzontale.

La rosa che si trova al centro di questa croce sboccerà se sarà il cuore dell’uomo a sbocciare.

Ridare alla materia il suo giusto spessore spirituale la sottrae alla mercificazione, a una rappresentazione corrotta, a uno sfruttamento senza limiti. Permettere allo spirito di ancorarsi al piano orizzontale ridà al mondo naturale il senso perduto, il “senso del Sacro”. Il compito dell’Umano oggi è favorire dentro di sé questa fusione. Il compito dell’Arte è quello di insegnare agli uomini la “percezione” del mondo in questi nuovi (antichi) termini. Bisognerà ripartire da Kandinsky, non a caso un artista russo.

Pubblicato da vincenzodimaio

Estremorientalista ermeneutico. Epistemologo Confuciano. Dottore in Scienze Diplomatiche e Internazionali. Consulente allo sviluppo locale. Sociologo onirico. Geometra dei sogni. Grafico assiale. Pittore musicale. Aspirante giornalista. Acrobata squilibrato. Sentierista del vuoto. Ascoltantista silenziatore.

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