a cura della Redazione

Chi, almeno una volta, non ha pensato alla Russia come un paese figlio della dottrina marxista, un paese dunque in cui il sentimento religioso è messo al bando. In questo articolo vogliamo invece dare un altro punto di vista sul rapporto della Russia con la religione, dall’Ortodossia, la più praticata, all’Islam. Individuiamo infatti nel rapporto tra Russia e la pratica musulmana le fondamenta politiche del nuovo mondo multipolare.
La Russia è un paese religioso?
Uno dei punti cardine su cui si basa la visione di Putin è la piena considerazione della religione ortodossa come collante tradizionale della società russa, un elemento che non è mai venuto meno neppure nei 70 anni di regime comunista. Infatti, si può tranquillamente affermare che i tre assi su cui è imperniata la storia della Russia siano proprio la fede ortodossa, lo Stato ed il popolo. In Russia ogni leader ed ogni governo che ha guidato la grande potenza eurasiatica ha dovuto decidere come combinare il rapporto tra questi elementi-Stato- Popolo – Chiesa e come gestire le priorità. La relazione tra queste forme è tuttavia mutata profondamente nel corso della storia russa.
Se durante il regime comunista Stato e popolo sono stati largamente prioritari, già nel periodo successivo a Chruščëv, quindi dalla fine degli anni 50, lo Stato si riavvicinò alla religione come elemento unificante del grande spazio russo-sovietico. Nessuna ideologia politica poteva neanche lontanamente immaginare di sradicare il senso del Sacro che il popolo russo coltiva dalla notte dei tempi.
Per questo motivo i governanti ucraini cercano di colpire proprio la fede ortodossa che sanno ben radicata nello spirito dei popoli, ben al di là dei confini di Stati che si sono formati in maniera recente, come l’Ucraina stessa, il nazionalismo viene quindi usato come una clava destabilizzante e contraria alla Tradizione dei popoli stessi.

La presenza islamica in Russia e la reazione al terrorismo
Molto spesso ci si dimentica che in realtà la Russia è un territorio sterminato, dove la religione ortodossa è largamente maggioritaria ma dove convivono decine di confessioni religiose diverse, di cui l’Islam è certamente la più importante, con più di 10 milioni di fedeli e oltre 8.000 moschee, distribuiti nei diversi territori dello spazio russo.
Putin ha sempre messo in rilievo l’origine “tradizionale” della presenza musulmana in Russia: la comunità musulmana non è un fenomeno nuovo o contemporaneo, bensì la sua esistenza deriva da un lungo processo storico e culturale. Diversamente da ciò che accade in Occidente, la Storia russa non ammette fenomeni come l’adesione alle teorie degli scontri di civiltà di impronta anglosassone. Questo elemento è stato fondamentale per assorbire e risolvere positivamente i conflitti nel Caucaso, dopo gli anni di guerra scatenata da elementi “radicali” sunniti estranei a questa Tradizione ed eterodiretti dalle monarchie del Golfo, alleate storiche fino a pochi mesi fa degli anglo-americani e dalla CIA stessa.
I terroristi che hanno agito in Cecenia alla fine degli anni 90 costituivano una vera e propria legione straniera islamista: uno schema che ritroveremo una ventina di anni dopo in Iraq e in Siria, con la costituzione di Daech/Isis nei quali si arruolarono tra gli altri molti reduci delle due guerre cecene. La scelta vincente della Russia fu l’avere stretto una ferrea alleanza con le forze lealiste musulmane, le quali costituiscono tutt’ora una importante fetta dell’esercito russo impegnato nel teatro ucraino.
Mosca stessa venne tragicamente colpita dal terrorismo di matrice islamista, nemico prima di tutto degli interessi reali dei musulmani di mezzo mondo e della Umma stessa. Vogliamo ricordare come esempio l’attacco al teatro Dubrovka nel 2002, risolto dall’intervento delle forze speciali russe: molti dei terroristi uccisi avevano combattuto in Cecenia ma provenivano da altre Nazioni.
Tuttavia, il governo russo non ha mai ceduto alla tentazione islamofobica neppure nei momenti più drammatici, il che conferma la posizione russa nel non volere assecondare la deriva occidentale che punta alla lotta fra popoli.

I rapporti tra Russia e Iran come risoluzione nella geopolitica del Medio Oriente
Anche nei rapporti con gli Stati a maggioranza musulmana, c’è un filo conduttore che parte dalla storia dell’Urss fino ai giorni nostri: certamente è necessario ricordare i rapporti con l’Iran, creato dopo la Rivoluzione vincente di Khomeini, il quale cacciò la monarchia dei Palhevi, stretti alleati degli Usa, a cui seguì la proclamazione della Repubblica Islamica dopo il referendum del 1979. I contatti tra le due nazioni furono sempre piuttosto intensi, nonostante il macigno della guerra in Afghanistan e quello dell’ateismo di tipo marxista professato dal Regime sovietico.
Certamente è degna di menzione la lettera scritta di proprio pugno dall’Ayatollah Komeini al Presidente Gorbačëv il 7 gennaio 1989, in cui la Guida Suprema iraniana si rallegrava del fatto che il presidente sovietico fosse intenzionato a concedere la piena libertà a tutti i culti religiosi e che fosse incline a superare il dogmatismo marxista ma, con visione quasi profetica, lo invitava a non cadere nella tentazione di instaurare il capitalismo liberale occidentale, anticipando così i disastri del periodo Eltsin che minacciarono l’esistenza stessa della Russia come entità statuale sovrana e le cui conseguenze si riflettono fino ai giorni nostri.
I rapporti di Putin con l’Iran sono stati sempre di stretta collaborazione: in particolare, sul teatro siriano russi ed iraniani hanno combattuto accanto all’Esercito Arabo Siriano e ai miliziani sciiti di Hezbollah contro la legione straniera jhiadista, scatenata contro il governo di Assad da Turchia e Monarchie del Golfo, con la regia dei “soliti noti”. Lo stesso generale Soleimani, vero e proprio eroe nazionale della nazione iraniana, si recò da Putin nel settembre del 2015 per riferire che il governo siriano stava cadendo e che l’intervento era più che mai necessario. L’intervento russo cambiò le sorti della guerra e proprio in questi giorni, con la mediazione russa, Turchia e Siria stanno finalmente appianando le divergenze che potrebbero portare alla fine definitiva delle ostilità sul territorio siriano e alla partenza delle ultime truppe americane, le quali non avrebbero più nessun appiglio per una permanenza, durata già ben oltre qualsiasi norma del diritto internazionale.
Più in generale, l’azione congiunta russo–cinese si sta rivelando decisiva per spingere i paesi musulmani più importanti sulla scena internazionale a superare le faglie di conflitto che hanno generato le guerre nello Yemen ed in Siria, conflitti istigati dalle centrali occidentali che hanno utilizzato i contrasti tra sciiti e sunniti per alimentare le strategie di destabilizzazione, in maniera simile e speculare all’uso del sentimento nazionalista sul teatro ucraino, in funzione antirussa.
Il superamento della spaccatura all’interno dell’Islam è uno dei punti cardine nella crescita di quel mondo multipolare che potrebbe vivere proprio della ricchezza nella diversità delle civiltà che lo compongono, a condizione che vengano risolti quei conflitti che hanno storicamente fatto il gioco della strategia unipolare di matrice anglosassone.

Tratto da: Vento dell’Est
