Luca Rudra Vincenzini
“Nartaka ātmā, raṅgo’antarāmā, prekṣakāṇīdriyāṇi”,”il Sé è il maestro della danza ed il teatro interiore, i sensi sono gli spettatori”, Śiva Sūtra.
Se trasliamo questi tre famosi sūtra, dal livello metafisico della Mente Universale a quello psicologico dell’anima incarnata (jīva), possiamo notare come la realtà sia confezionata dall’inconscio.
La “Legge dell’Attrazione”, di chiaro stampo New Age, più o meno, asserisce: ciò che sei attrai, ciò che hai realizzato crei, ciò che non hai realizzato non attrai. Tale asserzione, pur conservando una minima dose di verità, è di fatto una banalizzazione, bella e buona, di un serio principio psicanalitico. Contro tale tesi “calamita”, oggi sulla bocca di tutti, si può affermare che, effettivamente, l’inconscio personale proietta sulla realtà il filtro delle proprie irrealizzazioni. La baggianata, dunque, dell’affermare: “attrai ciò che sei”, è il creare l’illusione di potere irretire ed aggirare le leggi di natura, attraendo così per magia ogni sorta di bene, dal successo al denaro, dalla salute ad una felicità favolistica, e questo ovviamente a scapito dell’ordine delle variabili, compresa la sofferenza che è alla base della vita.
Mi spiego meglio, in natura esistono tutte le variabili, favorevoli e sfavorevoli all’umano vivere; tutte e proprio tutte passano giornalmente davanti ai nostri occhi, ci sfiorano la pelle ed alcune si insinuano nelle vene.
Ora, se tutte le variabili ci sfilano dinnanzi è naturale che, in base al nostro stato mentale, tendiamo a vedere (notare), solo ed unicamente, quelle che in quel momento sono momentanemente attive nella nostra mente, a scapito di quelle latenti (sincronicità, tesi del grande Carl Gustav Jung): se sono arrabbiato vedo rabbia, se sono felice vedo felicità, e questo lo proietto sopra ciò che accade oggettivamente.
Secondo tale ben più saggio approccio junghiano, non “attraggo”, bensì “vedo”. È bene comprendere, allora, che la mente, più che attrattiva, è soprattutto proiettiva. Dunque l’unica responsabilità che abbiamo è quella della sceneggiatura e della regia, piuttosto che quella della “calamita”. Non attiro per magia, quanto piuttosto l’inconscio personale sceglie di leggere una variabile su infinite altre perché così compenso l’idea inconscia che ho di me stesso/a. Ci si accorge della verità di tale approccio quando, riuscendo a cambiare l’umore, nonostante un’emozione abbia preso il sopravvento, il mondo proiettato fuori (teatro) muti repentinamente, attivando un viscerale stupore (vismaya) su quanto sia forte la capacità identificativa della mente umana.

