di Gianluca Marletta
“NON VIDI ALCUN TEMPIO IN ESSA” – Apocalisse 21,22
Che i nostri attuali tempi siano destinati ad un’irreversibile dissoluzione è un dato che, ormai, non sfugge più a nessuno che abbia un minimo di senso spirituale o anche solo religioso.
In tale situazione, è normale e legittimo che fioriscano attese sul futuro e desideri di un “ritorno” ad un’umanità “normale”. Nell’immaginario religioso della parte più tradizionalista dei cattolici, ad esempio, ognuno sogna e spera un ritorno al Sacro identificandolo spesso con la forma immediata della propria religiosità: chi si auspica, dopo l’inevitabile sconvolgimento, un ritorno globale alla Chiesa pre-concilio – considerata perfetta – chi al 500, chi giunge fino ad auspicare un “Nuovo Medioevo” con il ritorno dell’Imperatore visibile, ecc.
Per inciso, ognuno spera nella misura della propria capacità immaginativa e non vi è nulla di male in tutto questo. Inoltre, non è affatto da escludere che possa esserci un momento nel quale le rimanenti forze presenti in questo mondo possano reagire e anche dare battaglia alla forze del caos e degli inferi (è anzi inevitabile). Quello che rimane molto limitante, tuttavia, è identificare la Promessa Divina con il mero ritorno ad una certa forma religiosa: questa Chiesa o quest”altra, realtà comunque temporali e condizionate dove, accanto a bellezze e splendori, sono convissuti limiti, ubbie, errori ed orrori d’ogni tipo.
Mutatis mutandis, questo limite è analogo a quello di molti Ebrei, che identificano il regno di Dio con la realizzazione di uno staterello mediorientale, o di molti Musulmani che lo identificano con una sharia globale dove (finalmente) tutte le enoteche chiuderanno e tutte le donne saranno pudicamente velate.
Un po’ troppo umano, direbbe un certo filosofo tedesco… Anche perché APOCALISSE significa proprio il sollevamento dei “veli” (non ri-velazione come spesso è erroneamente tradotto).
La Promessa Divina, in realtà, è infinitamente di più di un mero “ritorno” ad una certa forma storica. Certo: nell’attuale tempesta, chi ha la grazia di avere un pezzo di legno, una parte di fasciame, una scialuppa più o meno malconcia se la tenga stretta, strettissima: perché in mezzo ai gorghi, avere un pezzo di legno fa la differenza tra la vita e la morte (e in questo caso si parla della Seconda Morte, ben più temibile di qualsiasi altra). Ma è anche vero che, una volta approdati a riva, sarebbe assurdo tenersi stretto un pezzo di fasciame bucato e rinunciare agli splendori della Terra Nuova.
Ancora una volta ci viene incontro questa benedetta Apocalisse (parola che fa paura e che invece dovrebbe ispirare gratitudine e speranza): “Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio”.
Nella Gerusalemme Celeste non c’è più alcuna religione, perché”le cose di prima sono passate”. L’assenza del Tempio implica questo. E non perché il Tempio e la Religione siano qualcosa di male, ma semplicemente perché nel nuovo mondo non v’è n’è più bisogno.
I progressisti di tutte le religioni, a modo loro, si ispirano (sbagliando) proprio a questa idea: peccato che essi pretendano di rinunciare al pezzo di fasciame adesso, nel momento peggiore della tempesta perdendosi nelle illusioni della loro mente e affogando miseramente. Essi identificano la Gerusalemme Celeste con l’antireligione partorita dalla propria mente: una Gerusalemme profana e identificata proprio col mondo che sta morendo. Non vi è illusione peggiore.

