di Giuseppe Aiello
IMAM HUSSAYN IBN ALI
In esempio storico lampante di una perfetta armonia tra azione interiore e azione esteriore è quello rappresentato dall’Imam Hussein, nipote de Profeta Muhammad, modello del piccolo e del grande jihad, della sforzo dell’uomo su sé stesso, sulle sue pulsioni inferiori, nella tensione di uno sforzo che riconduce l’uomo al divino, e allo stesso tempo è azione esteriore, lotta contro i oppressori e i corruttori.
Egli si sollevò, alla guida di meno di cento fedeli ed eroici compagni, contro un empio e ingiusto governante, fronteggiando senza timore né dubbi un esercito di migliaia di uomini che voleva costringerlo alla sottomissione. Un manipolo di uomini rimase fedele fino alla morte alla Guida, perché egli rimase fedele fino alla morte all’Islam del Profeta.
Molti sono le personalità le cui gesta costituiscono un modello esemplare di azione: a partire dall’Imam stesso, il cui grido di battaglia fu «ben lontana è da noi la viltà!»;
suo figlio Alì, che gli chiese: «Caro padre, noi non siamo forse nel giusto?», ed egli rispose: «Certo, giuro su Dio che noi siamo nel giusto!», al che il giovane figlio rispose: «in questo caso la morte non ci spaventa»;
il compagno che interpose il proprio corpo per difendere fino allo stremo il suo Imam, e che prima di spirare tra le sue braccia, assolutamente incurante di sé e delle proprie condizioni, chiese: «O figlio dell’Inviato d’Allah, ho mantenuto fede alla mia promessa?»;
Zeinab, sua sorella dell’Imam, quando le venne chiesto «cosa ne pensi di ciò che Dio ha fatto con tuo fratello e la tua famiglia?», rispose: «non ho visto nient’altro che la bellezza!» (Maa ra’aytu illa jameela, lett.: non ho percepito che la bellezza assoluta);
Horr, che era uno dei comandanti dell’esercito nemico, tra i primi a fronteggiarlo, tenendolo sotto assedio e impedendogli l’accesso all’acqua, il giorno di Ashura prese una decisione straordinaria: appena prima dell’inizio della battaglia, lasciò la sua posizione e l’esercito da lui comandato, e raggiunse l’Imam Husayn chiedendogli di essere accettato tra le sue fila e, una volta ammesso, chiese di essere il primo a poter scendere in battaglia e morire contro l’esercito di cui egli stesso era un comandante solo poche ore prima, realizzando così il destino contenuto nel suo nome “Horr”, che significa “uomo libero”, “nato libero”, “nobile”.

