di Franco Giovi
Molto ci sarebbe da esaminare sul rapporto che c’è tra vivi e morti, e infatti il Dottore s’è speso frequentemente, nei decenni del suo insegnamento, a descrivere da tanti punti di vista la cosmica vita dell’uomo disincarnato nel significato che le è proprio e nei suoi rapporti con il mondo terrestre e con le anime che su esso dimorano per una manciata di stagioni.
Come ben si sa la regola generale offre scarse speranze per un facile rapporto tra vivi e morti. La sfera di esistenza di questi ultimi è riferibile al mondo del Volere che, per la coscienza umana contemporanea, si situa oltre gli inaccessibili bastioni del sonno profondo. Però esistono pure tantissime deroghe alla regola: roba da far impazzire i ragionieri dello spirituale.
Sovente celiamo dentro di noi un pensiero oscuro, inconsapevole, che ci fa ritenere il trapassato come un inerte burattino nelle mani delle possenti Forze universali. Non è così. L’uomo liberato dai ceppi, spesso logori e stringenti, della corporeità terrestre, riacquista la propria natura, sovracosciente, vasta e luminosa e, come Spirito opera attivamente nei Cieli, nella terra e nell’uomo terrestre: certo, secondo il proprio destino e la propria evoluzione.
Cosa allora potrebbe mancare all’uomo occidentale che durante la vita ha sviluppato forze d’attenzione, destità, obiettività, rigore logico ecc. che nelle incarnazioni precedenti erano perlopiú appena abbozzate? Acquisendo, secondo retta evoluzione, le forze dell’Io, crescendo nell’individualismo, egli ha rigettato la coscienza dello spirituale, che vivendo nella crepuscolarità dell’anima diventa un antagonista di poco conto davanti alla tersa luce della coscienza dell’Io.
Questo è il significato dell’Antroposofia per i vivi e i morti: ritrovare nel pensiero individuale lo Spirito: lo Spirito nella luce dell’autocoscienza! Ma formare dall’intimo dell’individualità tali pensieri è possibile solo nella sfera della libertà che, per ora, coincide con l’unico luogo che, nel cosmo, è ‘fuori’ dallo Spirito: la testa dell’uomo incarnato.
Perciò quando leggiamo attenti scritti di comunicazioni dello Spirito o quando meditiamo verità di quel mondo o altro ancora, si forma intorno a noi, invisibile ma non necessariamente impercettibile, una comunità di esseri spirituali che di tali pensieri o immagini ha bisogno per completarsi, per riorganizzare la propria sostanza. Immaginate un anfiteatro: siamo al centro ed irraggiamo, come un piccolo sole, una luce di conoscenza che nutre e disseta realmente gli spettatori intervenuti. Vedete com’è grande la nostra responsabilità!
Essere troppo orgogliosi di ciò è disdicevole ed erroneo, poiché tra gli spettatori vi sono pure anime assai evolute e sante che aiutano anche i vivi, e creature angeliche che benedicono il nostro lavoro… con essi la presunzione, comunque sbagliata, sarebbe terribilmente sbagliata. Perciò il lavoro (tutti i lavori) dovrebbe essere impeccabile: è un Rito, è fare una azione sacra. Se la purità è perfetta, possono verificarsi attimi di Comunione con tali entità: momenti di incorporea e paradisiaca beatitudine: momenti di Cielo nell’anima.
Dovrebbe essere sentito o intuito che ogni lavoro andrebbe iniziato e poi concluso con grande serietà. Un pensiero profano e volgare, da questa parte della realtà, non squassa la terra o alza tempeste. In quell’anfiteatro invece sì..
L’unica azione d’impedimento per il defunto sarebbe l’inconfessato desiderio di riaverlo. Il dolore della perdita, sebbene sia comprensibile, sbarra ogni possibilità d’incontro. Una tragedia per l’uomo contemporaneo è il modo in cui tratta la morte: con cinica indifferenza, con la rimozione o con la più nera disperazione.
La Scienza dello Spirito ci educa a una visione cosmica dell’uomo e da essa a una viva speranza nel suo destino. A far nascere da questa visione anche il sentimento più importante, la magica ‘polvere di proiezione’ che guarisce anima e corpo e apre al dialogo con i defunti – parlo della GRATITUDINE – il passo è breve.

