di Valentina De Cicco
Non c’è dubbio che l’astrologia sia niente altro che astronomia cui si decida di prestare un’anima, traendola soprattutto dalla ricca e complessa mitologia degli dei olimpici, le divinità pagane decadute con l’avvento delle religioni monoteistiche.
Sarebbe d’altra parte errato, sotto questo profilo, sostenere, per esempio, che essendo Venere un pianeta mirabile per lucentezza e splendore, si è inteso dedicarlo alla dea della bellezza e dell’amore. L’astrologia nasce dal presupposto di descrivere e interpretare le energie cosmiche che si muovono nell’universo, a cominciare dai luminari Sole e Luna che, come osserva Tolomeo nel Tetrabiblos, di tali energie sono i principali artefici e i responsabili.
Dai Caldei e sino ai Greci, e ancor prima, non ci volle molto perché le forze o le energie dei corpi celesti dello spazio circostante la terra fossero personalizzate e identificate con altrettante divinità. La religione olimpica dei Greci ne è, da questo punto di vista, la sublimazione più evoluta e al tempo stesso più complessa.
Gli dei pagani rappresentano così la personificazione di poteri cosmici presenti nella realtà manifesta, costituendo l’architettura stessa dell’universo, il “piano divino” concepito da un demiurgo o grande architetto che i Greci chiamavano “Ananche” o Necessità, ritenendolo superiore e inattaccabile da parte di tutti gli altri dei, Zeus-Giove compreso.
In tale prospettiva, dunque, per tornare all’esempio precedente, Venere non è la dea dell’amore e della bellezza in virtù dello splendore del suo corpo celeste: è piuttosto vero il contrario. L’energia, motore del mondo, che induce i terricoli (uomini animali e piante) a riprodursi piacevolmente e a godere di tutto ciò che di bello e di sublime offre l’esistenza e che al tempo stesso è simbolo della natura, della giovinezza e della primavera, ha la sua veste fisica nel pianeta o corpo celeste più luminoso (Ésperos, Eosfóros, Fosfóros o portatrice di luce è stata volta a volta chiamata questa “stella”) e la sua anima nella dea della mitologia classica.
Ma la veste fisica di Venere, oltre alla luminosità offre altri elementi a coglierne gli aspetti animici e le analogie astrologiche. È il pianeta più vicino alla Terra e dunque il più visibile ed è capace di riflettere circa il 70% della luce che riceve dal Sole. L’albedo di Venere, infatti, ovvero il suo potere riflettente è il più elevato dell’intero sistema solare. Venere è avvolta in una fitta coltre di nubi, che ostacolano la penetrazione della luce del Sole all’interno e la riflettono invece all’esterno, rendendola, oltre che splendente e luminosa, capace di un “effetto serra” che porta la temperatura in superficie a circa 475°centigradi.
“La dea”, allorché si libera delle vesti (la fitta coltre di nubi), suscita l’ammirazione “magica” di chi le sta attorno, persone animali e cose, e l’effetto serra che produce il suo corpo è il calore della passione che è in grado di suscitare. Attenzione, però, perché il pianeta alle altezze superiori, per via della radiazione solare, dissocia l’acido solforico (H2SO4) in acqua (H2O) e biossido di zolfo (SO2). Questi, insieme all’anidride carbonica, formano una nebbia uniforme che circonda le nubi. In questa regione esterna, la pressione è di circa 0,2 atmosfere e la temperatura precipita a – 83°C.
La dea, sensibile al calore ed alle passioni, può all’occorrenza mostrare tutta la freddezza di cui è capace nei confronti dell’amante. Di contro, le sue “attenzioni” possono rivelarsi eccessive ed estremamente pericolose: il mito di Paride ne è l’esempio. Le sonde dei nostri giorni inviate su Venere hanno subito notevoli danni prima di poter trasmettere dati alla Terra, a causa delle alte temperature e della corrosività del pianeta, la cui atmosfera è composta per il 96 % di anidride carbonica e per il 4 % di azoto, con tracce di biossido di zolfo, argon e vapore acqueo.
Sulla superficie di Venere, inoltre, sono presenti vaste depressioni e insieme grandi altopiani e monti di natura vulcanica, alcuni dei quali tuttora attivi: la dea a seconda che conceda i suoi favori o meno è in grado di suscitare emozioni possenti come eruzioni vulcaniche, vaghe aspettative o soltanto lacrimevoli depressioni.
La bellezza, sorriso della terra, e l’amore, sorriso della vita, presero forma umana e femminile nel mito di Afrodite. La Dea dell’amore, figlia del Mare e del Cielo, nacque nei pressi dell’isola di Cipro dalla spuma galleggiante sul mare, frutto dei genitali recisi di Urano, a sua volta personificazione della volta celeste. Il suo nome greco [Afrodite], significa appunto nata dalla spuma:
“[…] Erraron a lungo sul mare e d’intorno bianca spuma s’alzava dai membri immortali; dentro la spuma una fanciulla crebbe. E prima alla santa Citera fu spinta, donde poi giunse a Cipro cinta dal mare. Lì emerse adorabile e bella dea; sotto i suoi passi leggeri l’erba fioriva d’attorno. L’hanno chiamata Afrodite uomini e dei perché nacque da spuma…”
(Esiodo, Teogonia)
In un mattino di primavera splendente di sole, apparve una meravigliosa creatura stillante rugiada, da un placido gorgo azzurro e ritta sopra una conchiglia iridata. La brezza marina faceva fremere i suoi capelli biondi e sbattere i veli che avvolgevano il suo corpo candido. Due Zefiri in forma di giovinetti alati e incoronati di fiori, la spinsero col soffio verso la riva. Le Ore [divinità minori] le vennero intorno in un molle ritmo di danza [nei suoi significati astrologici la danza e le arti sono sotto il governo di Venere] e detersero le sue membra dalla salsedine, pettinarono le sue chiome dorate e le intrecciarono di perle; poi le misero indosso una veste profumata e fecero brillare sul suo collo una splendida collana. Un carro d’alabastro tirato da candide colombe apparve all’improvviso e Venere-Afrodite vi salì sorridente. Attraversando gli spazi luminosi giunse in breve alla reggia degli immortali.

