SPAROLARE

di Michele Maino 

Il fatto che il mondo sia un gioco divino non significa che le sue regole non siano da prendere sul serio.

Tra i requisiti importanti, per poter giocare, vi sono senz’altro il rendersi conto di essere in un gioco, di doverne imparare almeno alcune regole di base e di essere disposti ad acquisire alcune abilità fondamentali.

Una molto importante per cominciare a condurre un po’ il gioco e non essere invece insensatamente trascinati sul tabellone da invisibili forze, è imparare a modulare il flusso di informazioni in ingresso e in uscita.

Il confine tra un moderato, piacevole e utile scambio verbale e una comunicazione ridondante e molesta è piuttosto sottile e molto più spesso di quanto non si creda viene indebitamente travalicato.

Se è vero che, in alcuni contesti relazionali, trattenere le parole è sintomo di una stipsi verbale che va curata lasciando evacuare ciò che ristagna, parole d’amore, di rabbia o di perdono non dette, è altresì vero che la patologia inversa, ovvero l’eccesso di comunicazione, lo scilinguagnolo compulsivo, l’incontenibile, sbracato abuso della parola è di gran lunga più comune.

Entrambe le tendenze sono svantaggiose: un eloquio esitante e inceppato rende difficoltosa la mutua comprensione e il soddisfacimento dei bisogni primari, squalificando un po’ il giocatore mentre la seconda gli fa rischiare l’evitamento da parte degli altri concorrenti, rendendo difficili le alleanze, rivelando le sue intenzioni agli avversari ed esponendolo al rischio di predazione, come l’uccellino troppo garrulo che, cantando inopportunamente, rivela ai rapaci la propria posizione.

Mentre la mente sana produce una quantità di pensiero e, quindi, di parole, commisurate alla necessità delle circostanze, quella disturbata porta a una smodatezza nel parlare, a vivere una vita all’insegna dell’esibizione o del pettegolezzo ciò che, alla lunga, arreca un danno esistenziale e intralcia le strategie dell’anima.

Sì, sono i demoni dell’insuccesso, interiori ed esterni, che fanno straparlare ai colloqui di lavoro o agli appuntamenti galanti facendoli andare storti, e, in generale, bisogna stare attenti non solo a non sproloquiare ma anche a chi si dimostra troppo interessato a farci parlare.

Chi elicita il nostro pensiero, infatti, o è un maieuta, un terapeuta, un amorevole ostetrico del nostro logos, e in questo caso lo abbiamo cercato e trovato noi stessi, o è un inquirente, un inquisitore che, con la lusinga e l’inganno, ci fa spogliare del pudore per carpirci informazioni proprio come all’inferno, davanti a Minosse, “l’anima mal nata […] tutta si confessa” (Dante, Inferno V, 7-9).

Travestendola da libertà di parola e d’espressione, predatori, manipolatori e demoni rendono seducente la logorrea e per il suo tramite saccheggiano i piccoli e grandi segreti degli uomini, i frutti del loro santo o infame giardino interiore. Le opinioni e le parole non hanno salvato il mondo e non lo salveranno. Ma il silenzio e la misura potrebbero, se non li daremo per scontati e sapremo onorarne la sacralità.

Immagine: Bagalāmukhī (dal web)

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Pubblicato da vincenzodimaio

Estremorientalista ermeneutico. Epistemologo Confuciano. Dottore in Scienze Diplomatiche e Internazionali. Consulente allo sviluppo locale. Sociologo onirico. Geometra dei sogni. Grafico assiale. Pittore musicale. Aspirante giornalista. Acrobata squilibrato. Sentierista del vuoto. Ascoltantista silenziatore.

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