EGOISMO E L’IO VERIDICO

di Franco Giovi

L’ego e la sua manifestazione, l’egoismo, dei quali per certi versi mi sono trovato quasi difensore d’ufficio, poiché le accuse ed i lamenti contrari sono viziati dall’animus egoico da cui trapelano, sono caratteri strutturali della normale coscienza di sé moderna, che certamente non può auto-esorcizzarsi col riempirsi di parole evocanti condizioni opposte, virtù e superamenti come altruismo, amore per il prossimo, sacrificio di sé ecc.

Sarebbe invece preferibile una maggior attenzione. Si scoprirebbe allora che l’uomo è portatore di due soggetti. Il primo di questi è, sebbene riflesso, l’Io veridico: il testimone silente di ogni nostro pensiero e azione. Avvertiamo il suo valore e la sua assoluta unicità ma non la sua forza. Re che non regna, generale senza esercito: nel suo affiorare come soggetto cosciente ha perduto la sua potenza.

Al contrario la sceneggiata dell’istintività padroneggia il palcoscenico. Gli istinti nell’animale, come atti della sua realtà metafisica, sono saggi e puri. Non così nell’uomo, che possedendo una coscienza individuale contrapposta sia al mondo dei sensi che al mondo dello Spirito – condizione del tutto anomala tra le gerarchie universali – gode di una libertà estranea al Dharma, cioè alle leggi che regolano secondo polifonia architettonica gli infiniti mondi della Realtà.

L’antico guasto alluso dal mito della Caduta è la prevaricazione del corpo astrale (anima inferiore) che giunge ad agire come un secondo Io, più forte ed immediato del primo, poiché contessuto di istintività fisico-animale. Questo secondo Io non è un elemento costitutivo dell’essere, ma soltanto un prodotto della prevaricazione: come tale è un nulla in cui ci identifichiamo, lo chiamiamo “io” anche se si contrappone all’Io reale: è il soggetto degli istinti, perciò ottunde la coscienza che l’uomo dovrebbe possedere per dirsi, con diritto, umano.

Esso ha in sé un terrificante potere distruttivo, che volge di continuo contro la natura e la coscienza vera dell’uomo. Il suo potere è stato per millenni contrastato dai Misteri e dalle religioni, ma mai radicalmente, perlopiù venendo solo ritualmente limitato e operativamente evitato. Dalla fine del XIX secolo le forze spirituali ancora indirettamente attive sull’uomo, introvertendosi, hanno lasciato ad ogni singola individualità la libertà e l’onere di trovare in sé, all’interno della coscienza individuale, le forze per la salvezza e la vittoria su ciò che nega l’evoluzione umana.

Il campo di battaglia iniziando dalla zona animica (astrale) che si esprime come io usurpante: quello che manifesta il pensiero astratto e riflesso, ossia il guscio giustificatorio del subumano. Sul versante ostile, il tentativo per “l’abolizione dell’uomo”, dopo la fine della II Guerra Mondiale, ha acquistato sempre maggior forza e velocità.

In realtà moltissime persone percepiscono angosciate i tamburi di questa battaglia, e cogliendo i suoi particolari sensibili, frammentati negli accadimenti, non sanno cosa stanno complessivamente percependo: sopportano l’esperienza di un generale crollo etico, vedono sbigottiti l’inquietante crepa apertasi anche verso quanto sia ancora espressione del Bello, del Vero e del Buono.

È urgente che il discepolo della Conoscenza Spirituale inizi a discriminare l’Io come puro soggetto dall’io senziente o istintivo: ma prima deve riconoscere di essere comunemente mosso da quest’ultimo.

È urgente che impari a meditare e contemplare ogni dato di percezione e pensiero che si offre di continuo alla luce della sua coscienza. Questo punto va chiarito, perché il lettore potrebbe osservare, e a buon diritto, che il meditare e la contemplazione sono ardue operazioni che abortiscono prima di nascere o dopo pochi secondi di tentativo, quando sono prive della maestria e della forza scaturita da un precedente lavoro di concentrazione. In effetti, tale è il giusto schema.

Sovente però la vita non coincide con gli schemi, e il meditare (conversione in un unico punto di pensiero, sentimento e volontà) per pochi attimi, è già un gesto che frena lo svanire centrifugo delle forze dell’anima e smorza l’eccesso dialettico a cui siamo abituati dall’interiorità e costretti dalla vita. Anche quando non ci si senta pronti per un vincolante assenso ad una definita Via sapienziale.

Darsi interamente ad una corrente spirituale non è atto per molti, ma trovare un filo che dal subumano ci riconduca all’umano, a ri-sentire lo Spirito nella creazione, ad esfilarsi dall’eccesso di incertezza, paura, rabbia e disperazione, è qualcosa che moltissimi possono avvertire come impellente e più che necessario.

Rendiamoci conto che alle fantasie spiritualistiche, alle mistiche dell’ignoto non corrisponde alcun cambiamento, mentre con fatalità lo stile di vita occidentale ed il condizionamento tecnologico esigono da noi pesanti dosi di passività che incidono profondamente tutto il nostro vivere comune.

Poiché, fatti salvi filosofi non attuali e pochi asceti del puro pensiero, ci si identifica con la corporeità, ed è questa che a tutta prima appare come il realistico e costante nostro punto d’appoggio.

Allora, senza catechismi, possiamo darci un inizio anche da essa. Non certo dal corpo fisico in sé, di cui abbiamo solo un’immagine, quanto dalle sensazioni vitali che percepiamo: più queste si intensificano, meno abbiamo occasione di ritrovarci nell’elemento che ci appartiene: il mondo animico-spirituale. Non bisogna d’altro canto smorzare come fakiri la sensazione vitale, essa ci serve! Per l’appunto dovrebbe servirci. Lei a noi, e non viceversa. Abbandonarsi al vitale è, per così dire, un regredire verso l’animalità: gradevole nel mio cane, ma non in voi o in me.

Per un sano inizio (e non solo) che non è ancora sistema, sarebbe di gran valore indirizzare sguardo e attenzione anche verso ciò che si vede nel mondo naturale. Guardare con simpatia la luce che la pietra riflette e sentire come la “sostanza aria” circondi il “vuoto” della pietra, guardare con amichevole solennità i vecchi e grandi alberi, con pietoso affetto gli animali, e così per tante altre cose, come il colore dei fiori, la forma delle colline e valli ecc. Sono sensazioni, impressioni e sentimenti che abbiamo già dentro e bastano momenti d’attenzione e di silenzio per re-suscitarli.

Prima ho detto all’incirca “senza schemi”. Anche così, se moltiplichiamo (serenamente, quando ci va) tali momenti, il mondo, quello che dapprima non si vede, ci restituisce queste nostre attenzioni moltiplicandole per dieci, e allora, in alcuni momenti, incominciamo ad avvertire fuori e dentro di noi un’albeggiante mobilità di vita e di forza.

È il sentire che si rinnova: il tramonto porta la pace e dietro ad essa avvertiamo l’immensa marea eterica che muta il suo flusso. I raggi di luce dell’alba traspaiono in sensazione di presenze che recano alla terra paziente speranze germoglianti ed inesauste, al punto che ogni giorno diventa rivelazione di Creazione.

E così avanti: ogni processo diventa simbolo, ogni simbolo diventa espressione sacra e impressione interiore. E l’impressione cosa fa? Si imprime: nel nostro corpo nascosto, chiamato fluidico, eterico, sottile. Nella vita normale, passiva, il corpo eterico mantiene vivo il corpo fisico: lotta a tempo pieno contro l’invadenza della morte.

Ma potrebbe fare molto di più, e infatti, sollecitato dalle impressioni a cui ci siamo dedicati contemplando immagini e guardando a cuore vivo le cose, egli, per così dire, si sveglia e irraggia fuori dai limiti fisico-corporei e noi avvertiamo una speciale, fervida beatitudine che va percepita ma non goduta per sé: lasciamo che fluisca nel percepito che non rimane inerte ma, come un seme, germoglia di vita: per sé e per noi.

EGOISMO E L'IO VERIDICO
EGOISMO E L’IO VERIDICO

Pubblicato da vincenzodimaio

Estremorientalista ermeneutico. Epistemologo Confuciano. Dottore in Scienze Diplomatiche e Internazionali. Consulente allo sviluppo locale. Sociologo onirico. Geometra dei sogni. Grafico assiale. Pittore musicale. Aspirante giornalista. Acrobata squilibrato. Sentierista del vuoto. Ascoltantista silenziatore.

Lascia un commento