IL SEGRETO DEI TOLTECHI

di Valerio Raimondi

Dal punto di vista tolteco (tolteco sta per “uomo di conoscenza” o “detentore di segreti”), l’attuale umanità (nessuno escluso) è succhiata con la cannuccia da mane a sera da una classe di predatori inorganici la cui astuzia maggiore sarebbe quella di aver installato, in illo tempore, al posto di quella naturale, una mente posticcia la cui cifra è la tendenza inesorabile all’accartocciamento su se stessa; dal momento che, per i toltechi, l’attenzione veicola l’energia, un’attenzione di continuo tesa a una visione del mondo filtrata dal senso di importanza personale (che è ciò che intesse l’attuale civiltà fin nelle midolla) distillerebbe un tipo di energia che se per l’uomo è inutilizzabile costituisce invece un alimento eccezionale per tali spietati esseri, le cui possibilità predatorie aumenterebbero a dismisura a ogni vampata emotiva, di qualunque segno sia. L’unico modo per iniziare a sciogliersi da tale predazione diuturna è allentare prima e poi liquidare del tutto il senso di importanza personale legato a doppio filo all’incessante dialogo interno e alla descrizione del mondo che, di fatto, costituiscono un circolo vizioso senza apparente via d’uscita; proprio la descrizione del mondo, peraltro, pur essendo necessaria affinché le interazioni degli uomini siano in qualche modo condivisibili, finisce però per sclerotizzare la conoscenza attingibile entro un misero segmento all’interno di uno sconfinato oceano di possibilità; per dirla in altri termini, le fibre energetiche che costituiscono ogni essere consapevole, nell’uomo tenderebbero ben presto a fissarsi entro un cosiddetto punto d’unione (o di assemblaggio), la cui mobilità estremamente ridotta non sarebbe in grado di andare oltre il consunto repertorio dei cambi d’umore e delle vampate emotive adatte a produrre il cibo dei “suggeritori” (una definizione alternativa, e ironica, a quella del lignaggio castanediano, che li chiamava invece “voladores” poiché, in questo mondo, si mostrano a chi sappia come vederli – o ricordarli – come ombre di fango che si muovono e svolazzano furtivamente) e, sebbene durante l’attività onirica tale punto di unione si sposti naturalmente dalla posizione abituale, pure tale spostamento è casuale, totalmente passivo, inutilizzabile – motivo per il quale il guerriero tolteco si esercita anche nel “sognare”, ovvero nel controllare e stabilizzare il punto di unione in assemblaggi efficienti dal punto di vista energetico. Per “sognare”, infatti, i toltechi intendono ogni posizione del punto di unione che trascenda quella usualmente condivisa e che sia fissata consapevolmente: ciò permette al guerriero di entrare nel “sogno” in modo cosciente, lucido, potendo persino riassemblare a piacimento quel punto determinato; in tal senso, l’unica differenza tra lo stato di veglia e quello onirico starebbe nel fatto che nel primo il punto di unione è stabilmente fissato, tanto più stabilmente dal momento che tale fissazione è condivisa da millenni dall’umanità intera – anche attraverso l’inventario, o descrizione, del mondo –, mentre il punto di unione del sogno è molto poco stabile, e tale instabilità lascerebbe l’erronea impressione che il sogno sia quel che si intende comunemente: una forma di innocua irrealtà; si arguisce, dunque, che chi fosse in grado di attingere sufficiente energia per stabilizzare nuovi punti di unione – ne serve infatti non poca per attuare tale operazione – potrebbe muoversi a piacimento non tanto nel sogno usualmente inteso quanto in diversi mondi – per i toltechi ogni assemblaggio del punto di unione corrisponde a una diversa modalità del tempo. Si capisce pure come, drenati senza posa e ridotte le energie al lumicino, quasi nessuno possa attuare tale possibilità, che tuttavia richiede non solo molta energia disponibile ma doti fuori del comune, perché per i toltechi pochi sono i mondi che non nascondano insidie.

Per trasmutare il “luogo dell’indulgenza” (nei confronti dei suggerimenti della mentre posticcia) nel “luogo della spietatezza” (verso la mente posticcia stessa) il tolteco attua una guerra incessante fondata sull’arte dell’agguato (verso se stesso, o meglio: verso ciò che ha progressivamente imparato a credere d’essere) e pratica una costante impeccabilità che però non ha nulla a che vedere con un discorso morale, essendo piuttosto un mero fatto tecnico. Tale impeccabilità parte da un assunto: il tempo è poco, l’esito è la morte ed è quindi inutile cincischiare – agli stratagemmi del suggeritore il guerriero oppone stratagemmi tesi a spezzare il circolo vizioso invalidante, spesso attuando tecniche che permettono di cavalcare la tigre.

Va detto, in ultimo, che lo sciogliersi dalla mente del suggeritore è solo l’incipit del sistema di conoscenza tolteco, incipit che va adeguatamente preparato, pena il ritrovarsi, privi d’un tale atavico sostegno, come un subacqueo senza bombole d’ossigeno o un influencer senza followers.

IL SEGRETO DEI TOLTECHI
IL SEGRETO DEI TOLTECHI

Pubblicato da vincenzodimaio

Estremorientalista ermeneutico. Epistemologo Confuciano. Dottore in Scienze Diplomatiche e Internazionali. Consulente allo sviluppo locale. Sociologo onirico. Geometra dei sogni. Grafico assiale. Pittore musicale. Aspirante giornalista. Acrobata squilibrato. Sentierista del vuoto. Ascoltantista silenziatore.

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