di Franco Giovi
Il “segreto” della disciplina è null’altro che il Volere: volere che mai si accende nella vita comune: che per la vita comune nemmeno esiste.
Noi conosciamo il volere in quanto riflesso nella corporeità e nel soggetto che è frutto della corporeità, del corpo sensibile che ci è stato dato e che ci sarà tolto.
Solo il pensiero è virtualmente “altro” rispetto alle categorie psicosomatiche: insistere nella concentrazione è il tentativo di ripristinare la natura del pensiero: portare il virtuale ad atto, anche se per pochi istanti (istanti in cui il tempo non ha importanza oppure non c’è).
La concentrazione, in essenza, è atto volitivo ripetuto. Che non venga percepita direttamente la volizione immessa nell’esercizio (tentare ciò è far naufragare l’esercizio) mostra solo che essa è impercepita dalla coscienza ordinaria.
Come immagine può valere il mito della “spada immersa nella roccia”: essendo il corpo la roccia che cela la spada. E come nessuno può trarla da lì, nessun sforzo personale potrà mai svellerla..
Il pensare liberato dai sensi invece sì, poiché esso non è somatico, non è personale: il pensiero puro di pensieri è l’eroe che può impugnare ciò che fu sepolto: ciò che dorme attendendo la liberazione.
Non v’è sforzo o fatica: il pensare puro, liberato, permette al volere di fluire con tutta la sua potenza. Allora non è più pensiero ma un più che pensiero: non più astratto ma REALE: più reale della realtà sensoria, più reale del senso ordinario di sé.
In questa esperienza il soggetto passa dall’immane inganno sensibile al cosmo eterico o spirituale.

