di Luca Rudra Vincenzini
Il tantrismo è un fenomeno altamente differenziato. Innanzitutto annovera scuole tra diverse compagini filosofiche: bauddha, śaiva, śākta, saurya, vaiṣṇava, jaina, gāruḍa, cīnācāra, finanche shingon in Giappone e in indonesia. Le pratiche all’interno di queste scuole si distinguono per divinità venerate (devatā), formule (mantra), riti (pūjā), istallazioni nei corpi sottili (nyāsa), visualizzazioni (dhāraṇā), tecniche meditave (dhyāna), mediche (āyurveda), erboristiche (auṣadhīya), alchemiche (rasāyana) e sessuali (maithuna), possessioni medianiche (samāveśa), trasmissione della mente (śaktipāt), iniziazioni (dīkṣā) e potenziamenti (śāktabala). Ovviamente alcune scuole sono più speculative (jñāna), altre più devozionali (bhakta), alcune più contemplative (dhyānin), soprattutto le non duali (paramādvaitavāda), altre più rituali (kalpya), soprattutto le duali (dvaita o Śaivasiddhānta). Di fatto non esiste una sola scuola e la tramandazione rurale, tramite le famiglie iniziatiche (kula e gotra), ha reso il fenomeno assai complesso. Inoltre nuovi rivoli si aggiungono, anno dopo anno, a causa delle modifiche apportate dai nuovi capofamiglia (svāmī), solo alcuni realmente realizzati (siddhaguru). L’unico parametro di autenticità e garanzia del percorso, a mio modestissimo avviso, è, tra tutte le pratiche, il fenomeno di śaktipāt, ovvero la capacità di un maestro di “fare scendere la grazia” (śakti/potenza-nipāta/discesa) contagiando positivamente le menti dei praticanti. Se manca questa capacità, il maestro, pur ricco di nozioni, non può aiutare i discepoli nella via realizzativa, se non aggiungere contenuti che ne possono alimentare la faziosità e l’ignoranza.

