di Domenico Rosaci
Diceva Eraclito, il grande filosofo di Efeso:
«Οὐκ ἐμοῦ, ἀλλὰ τοῦ λόγου ἀκούσαντας [ὁμολεγεῖν] σοφόν ἐστιν ἒν πάντα εἰδέναι.»
«Non ascoltando me, ma il logos, è saggio intuire che tutto è Uno, e che l’Uno è tutto.» (Eraclito, Diels-Kranz, Fr. 50).
Il Logos era, per Eraclito, la capacità di INTUIRE (εἰδέναι) la Verità.
Come spiega acutamente Giorgio Colli, attento interprete di Eraclito e profondo conoscitore della filosofia greca, il verbo “eidénai” (εἰδέναι) indica il “pensare per immagini”, nella tradizione più antica della filosofia greca, che considera la “conoscenza” come una “visione”.
Per questo motivo, chi in Grecia voleva davvero conoscere, comprendere la Verità, si recava dall’Oracolo, la Pizia di Delfi che “vedeva”, cioè “intuiva” la Verità.
La Verità del mondo antico non sta nella percezione sensoriale, che può solo fornire al pensiero elementi che vanno collegati tra loro, e analizzati dalle capacità intellettuali per potere attribuire loro un “significato”.
Una capacità intellettuale è la Ragione discorsiva, la logica, la razionalità, che porta ad un primo livello di comprensione.
Ma la capacità più profonda, come ci spiega Platone, è proprio quell’Intuizione di cui parla Eraclito, la visione diretta della conoscenza che può essere ottenuta solo da colui che osserva DENTRO e non semplicemente FUORI, cioè da colui che ascolta il Logos, la Verità che è come una voce che abbiamo dentro, e non una semplice raccolta di informazioni sensoriali.
Toccare, per i grandi filosofi Greci, non è mai stato Sapere.
Toccare, per la grande filosofia Vedanta dell’Induismo, era Maya, Illusione.
Solo l’Anima (traduzione italiana del termine greco “Psiche”) può Vedere, e quindi Sapere.
Proprio nella comunità cristiana primitiva di Efeso venne composto un Vangelo che poi sarebbe stato noto come “Vangelo di Giovanni”, anche se l’autore di tale Vangelo è del tutto anonimo, e l’attribuzione a Giovanni discepolo di Gesù fu fatta, in modo assolutamente arbitrario, da Ireneo di Lione nel II secolo.
Tale Vangelo ha il seguente inizio:
“In principio era il Logos e il Logos era presso Dio e il Logos era Dio.”
Ciò evidenzia come la tradizione dei Vangeli riprenda la Tradizione greca antica del Logos come capacità interiore dell’essere umano di accedere a una Visione della Realtà che i Greci definivano “aletheia”, cioè “ciò che non è oscuro”.
Questa capacità, come ci dice Eraclito, genera nell’uomo l’INTUIZIONE, ed è tale intuizione, nel mondo greco arcaico, l’unica possibile definizione di Verità, così come lo è nel Vangelo di Giovanni.
Il Vangelo di Giovanni chiama “Dio” il Logos, spiegando con la massima semplicità possibile ciò che i primi cristiani intendevano con la parola “Dio”.
Esattamente come per Eraclito, il Dio di Giovanni è la “Voce” che ognuno di noi può udire quando si presta all’ascolto dell’anima. Ma per “anima” Eraclito non intende qualcosa di appartenente all’individuo.
La prima di tutte le intuizioni infatti, secondo Eraclito, è che “tutto è Uno, e che l’Uno è tutto”. Quindi anche l’anima, la psiche è Una.
Nessun filosofo greco è stato più chiaro di Eraclito nel definire la Verità, e non deve stupire che il filosofo di Efeso fosse chiamato dai suoi contemporanei lo “Skoteinòs”, l'”Oscuro”.
La Verità di Eraclito sarà infatti sempre oscura per chi non intende ascoltare il Logos, cioè quel Tutto che è Uno. Fino a quando l’uomo ingenuo continuerà a identificarsi nel suo solo corpo e nei suoi soli sensi, l’unica “verità” a cui potrà accedere sarà quella, illusoria, della doxà: l’opinione.
Platone, approfondendo il pensiero di Eraclito e spiegandolo più estesamente, spiegherà che l’uomo più saggio, che capirà che la verità non sta nelle sole sensazione (le “ombre”) ma nelle capacità intellettuali, applicherà la Ragione e andrà oltre la doxa, spingendosi con la logica e la razionalità, che egli chiamava diánoia, a una prima forma di Episteme, cioè a una conoscenza più reale.
Quella che oggi chiamiamo Scienza è la diánoia di Platone.
La Scienza va oltre il “tocco e so”, spingendoci verso conoscenze su cui tutti possiamo concordare attraverso la nostra comune capacità di ragionare.
Ma la Scienza, la diánoia, è comunque solo una prima, più limitata forma di Episteme.
L’Episteme profonda, la Verità, è quella che si ottiene attraverso l’INTUIZIONE, che Platone chiamava Nous, e che altro non è che il Logos di Eraclito e del Vangelo di Giovanni.
Ognuno di noi, che ci crediamo “individui”, cioè che ci crediamo tra noi distinti e separati, in realtà contiene il Logos che ci fa intuire che Tutto è Uno.
E il Vangelo di Giovanni ci dice che tale Logos è Dio, quindi Dio è dentro (e non fuori di noi), che è esattamente come dire che tutti condividiamo Dio (e quindi non siamo distinti e separati) ribadendo che tale Dio-Verità non è altro che il Tutto-Uno di Eraclito.
Comprendere questo, come lo comprendeva Eraclito e tutta la saggezza greca antica, non è un capriccio o una esigenza dell’ego. Si tratta di una realtà esperienziale accessibile a chiunque voglia ascoltare il DENTRO invece di limitarsi ad ascoltare le sensazioni, che sono solo un aspetto (quello materiale) della Realtà, ma che non coincidono con quest’ultima.
Non c’è alcun fine nella comprensione che Tutto è Uno. Non è il risultato di uno schema razionale inventato dall’ego umano, non è il desiderio di proporre una verità che dovrebbe assurgere a universale, come le tante teorie che l’uomo egoico propone, credendosi “intelligente”.
“Intelligere” significa “Leggersi dentro”, non “leggere il fuori”.
A comprendere che Tutto è Uno, e quindi a sentire sé stessi come collegati a ogni altro ente, sarà solo colui che farà soggettivamente l’esperienza di tale comprensione interiore, e non avrà alcuna esigenza di proporla come verità “oggettiva” valida per altri soggetti. Ma per quel soggetto che avrà abbracciato il Logos, il Logos stesso sarà l’unica verità esistente. Sarà l’Essere stesso.
Chi non fa l’esperienza del Logos invece, non potrà mai conoscerlo, nel senso di “abbracciarlo”. La conseguenza sarà che egli si sentirà per sempre distinto e separato dagli altri enti, e quindi svilupperà i conflitti, vorrà distinguere le cose “sue” da quelle degli altri, svilupperà gli attaccamenti e di conseguenza la sofferenza, che come svela il Buddha non è altro che la conseguenza degli attaccamenti.
Ancora oggi, duemila e quattrocento anni dopo la morte del filosofo di Efeso, il Logos di Eraclito, quel Dio che altro non è che il Tutto-Uno, rimane un concetto universale della nostra psiche che ci consente, se ne abbiamo volontà e capacità, di ottenere pace e pienezza di vita.

