a cura di Otrumis Xi
Sebbene i molti scritti e trattati sulla Religio Romana non ne facciano riferimento (anzi, se ne conoscete vi siamo ben grati se ce li segnalasse), è ben nota la somiglianza tra Giano e Lord Gaṇeśa.
Entrambe le Divinità condividono peculiarità e funzione che a breve analizzeremo. Ma prima di tutto diciamo che ogni credenza, ogni religione e ogni forma devozionale ha al proprio origine gli archetipi, cioè quell’aspetto o forma di un concetto divino, universale.
Partiamo dall’idea che la Tradizione Romano-Italica e la Tradizione Induista condividono il ceppo indoeuropeo (sul tema vi rimandiamo agli studi di Georges Dumèzil), cioè si può anche constare dall’etimologia di alcuni nomi di Divinità e delle relative funzioni. Ora, qual’è l’Archetipo?
Per la Tradizione Sanātanadharma (nome tradizionale dell’Induismo) all’origine di tutto c’è Brahman, la fonte Divina primigenia, origine del tutto, della creazione dell’universo materiale.
Ora, sebbene nella descrizione dell’Unione Induista Italiana, loro definiscano la Religione Induista di tipo monoteista, sappiamo benissimo che nelle loro credenze vi troviamo molteplici forme Divine, se non altro manifestazioni dell’Uno Brahman. La Filosofia Platonica e neo platonica hanno portato il concetto di monismo all’interno della Tradizione Greco-Romana, laddove l’Uno è la fonte immanente e che trascende i molteplici aspetti del Divino attraverso la manifestazione degli Dèi. Ecco, l’Archetipo. L’Uno fonte del tutto, dell’universo materiale.
“Mi chiamavano Caos gli antichi, ch’io sono antica divinità, vedi quali remoti eventi io stia celebrando. Quanto vedi ovunque, il cielo, il mare, le nubi, le terre, tutto si chiude e s’apre per mia mano. Presso di me è la custodia del vasto universo, il diritto di volgerne i cardini è tutto in mio potere”, in questo modo Ovidio descrive Giano, il Dio degli Dèi, il Primo tra tutti.
Allora Giano visto con gli occhi di un neo platonico è l’Uno, oppure visto con gli occhi di un Induista è il Brahaman? Da come ce lo descrive Ovidio possiamo immaginare che Giano origina la forma e con essa il tempo, quello che è stato e quello che verrà.
“Un giorno Parvati stava facendo il bagno; non volendo essere disturbata, miscelò una goccia del suo sudore con dell’argilla e modellò la forma di un bambino, al quale infuse la vita. Gli ingiunse di stare di guardia alla porta e di non permettere a nessuno di entrare. Sfortunatamente, presto sopraggiunse Shiva. Il bambino gli proibì di varcare la soglia e quello, impaziente e impulsivo come sempre, non poté sopportare un tale insulto, perciò tagliò di netto la testa del giovane ragazzo. Parvati pianse disperatamente per la perdita subita, e si rifiutò di riappacificarsi con Shiva finché lui non ordinò ai suoi attendenti di porre sul corpo del bambino la prima testa che avessero trovato”.
(una parte del mito sulla nascita di Lord Ganeśa, Unione Induista Italiana).
Ganeśa nelle credenze induiste è il primo fra tutti, posto da Parvati a guardia di una porta, come il nostro Giano è posto a protezione degli ingressi.
Sir William Jones filologo britannico del 18° secolo ha posto stretti confronti tra Giano Bifronte e una forma ben precisa di Lord Ganeśa, conosciuta come Dwimukhi-Ganeśa, il filologo lo chiamava
“Giano dell’India”, è percepiva questa forte relazione tra le due Divinità, un archetipo in comune. Edward Moor nel suo “Pantheon Indù” pubblicato nel 1810 ha rilevato che Giano, proprio come Lord Ganeśa, veniva invocato all’inizio di ogni inizio: infatti in India ad ogni apertura di una nuova attività, trasferimento in una nuova abitazione viene invocato Lord Ganeśa, colui che “rimuove gli ostacoli e semina difficoltà sulla strada dei nemici”.
C’è da prendere in considerazione anche l’antropomorfismo (il doppio volto di Giano, le sembianze di Elefante di Ganeśa) che “presso popoli dalle diverse sedi e dai diversi tipi o stili di civiltà l’antropomorfismo è sempre stato segno di primordialità” (Dèi e miti italici – Renato Del Ponte). A. Morretta evidenzia inoltre che “nella terminologia brahmanica, la parola gaia (elefante) viene interpretata come ‘conoscenza delle origini”; “Il terzo volto, quello nascosto di Giano, simbolicamente corrisponde al terzo occhio, frontale ed invisibile, di Ganeśa” (Mario Enzo Migliori, “Ganesha, il signore della conoscenza”).
Per ultimo, ma non meno importante, è l’aspetto legato ai dolci: durante la Puja (festa di Ganeśa) si preparano e offrono al Dio le Modakha, palline di farina di riso, come a Giano offriamo dolci e lo scambio di dolci e Strenne il primo giorno dell’anno, per un dolce inizio che sia di buon auspicio.
Con questo lungo articolo non vogliamo arrogarci nessun diritto su “verità e realtà”, ci siamo basati su ricerche, studi e scritti (ove lo abbiamo indicato). Anzi, se avete ulteriori informazioni sull’argomento non esitate a darcene!
La Tradizione Induista non ha conosciuto interruzioni, è rimasta attiva e florida per tutti questi secoli, la comunanza delle origini Indoeuropee con le nostre Tradizioni, ormai è innegabile, fior fior di studiosi autorevoli ne hanno parlato. A noi questa dicotomia tra Giano e Lord Ganeśa ha incuriosito moltissimo, speriamo sia lo stesso per voi… in fondo qualcuno ha detto “Gli Dèi Romani si sono rifugiati in India”, anche se per noi sono rimasti qui in Hesperia, anche nei momenti più difficili, dove sembravano averci abbandonato.
Tratto da “Communitas populi romani”

