a cura di Giuseppe Aiello
Porsi al Centro vuol dire sapere agire bene, con distacco e controllo, in ogni circostanza.
Makki racconta un episodio della vita di Ibrāhīm b. Adham (morto nel 778-9 d.C.) dove un principe che aveva abbandonato il suo regno per dedicarsi a una vita di rinuncia, preghiera e guadagno legittimo, una volta diede molto denaro a un compagno e gli ordinò: “prendi del burro Ḥarrānī, miele e pane”.
Rispose sorpreso: “O Abū Isḥāq, con tutto questo denaro?”
“Guai a te!” ribatté scherzoso Ibrāhīm, “quando è il momento di mangiare, mangiamo come uomini, e quando siamo privati del cibo o digiuniamo, sopportiamo pazientemente come uomini”.
L’incontro fraterno di coloro che sono legati dall’amore per Dio giustificava l’apparente stravaganza.
Ed è per questo che Makkī in altro contesto scrive che «nel mangiare con i fratelli ci sono […molte…] virtù. È stato riferito da Ja‘far b. Muḥammad – che Dio sia soddisfatto di entrambi – ‘quando ti siedi con i tuoi fratelli davanti alla tavola imbandita, prolunga la tua seduta, perché è un tempo durante il quale non si terrà conto di te (dei tuoi eventuali peccati).”
Troviamo anche un resoconto di Bishr al-Ḥāfī (morto nell’841 d.C.) in cui un amico venne a trovarlo mentre stava digiunando. “Mi mise in mano una manciata di soldi”, racconta Ḥusayn al-Maghāzilī, “e disse: ‘acquista per noi il cibo, i dolci e i profumi migliori che trovi al mercato’”. “Non mi aveva mai parlato così”. ”, ricorda Maghāzilī. “Ho fatto come mi aveva detto e ho messo il cibo davanti a loro. Cominciò a mangiare con il suo ospite, anche se non l’avevo mai visto mangiare con nessuno prima.”
Tali occasioni conviviali favoriscono la gratitudine per le benedizioni divine, garantendo così che i primi e fondamentali insegnamenti mistici rimangano in stretta conformità all’etica sottostante del Corano, e che le tendenze ascetiche dei viandanti spirituali siano tenute sotto controllo e non estremizzate. “Il consumo di cibo sano (ṭayyibāt)”, come direbbe Dārānī, “produce piacere (riḍā) presso Dio”.
Interrompere un digiuno volontario quando le circostanze lo richiedono – un tema non infrequente nella letteratura – sottolinea la necessità di liberarsi dall’attaccamento al digiuno o ad altre pratiche ascetiche e, più in generale, di coltivare zuhd al-zuhd, “rinuncia alla rinuncia” o forse più precisamente , “distacco dal distacco”, che è la vera, suprema Libertà in Dio.
Una volta Abū Isḥāq al-Fazārī († 804 d.C.) pose una ciotola di khabīṣ davanti a Sufyān al-Thawrī († 778 d.C.) che era venuto a trovarlo. “Se non fosse che stessi digiunando”, rispose l’ospite, “mi unirei a te”. “Tuo fratello Ibrāhīm b. Adham è venuto a trovarmi prima”, ha detto Fāzārī, “e si è seduto dove sei seduto tu adesso. Gli ho messo davanti i khabīṣ in questa ciotola e lui ha mangiato. Quando stava per partire, disse ‘sebbene stessi digiunando, sono stato spinto dall’amore a unirmi a voi, per rallegrare il vostro cuore.'” “Sufyan abbassò la mano e cominciò a mangiare”, racconta Fazārī, “avendo imparato una lezione di pratica spirituale da parte di Ibrāhīm”.
E di Junayd si diceva che sebbene digiunasse regolarmente, quando arrivavano gli ospiti si univa a loro nel pasto per non creare disagi, dichiarando che tale virtù non era inferiore al digiuno stesso, purché fosse gestita dalla volontà e controllata.
Ma tali atti andavano oltre la semplice occasione che poteva richiedere la rottura di un digiuno: se mai fosse stato posto davanti a Ma’rūf al-Karkhī (morto nell’815 d.C.) del cibo gradevole, egli si sarebbe servito dell’offerta. Una volta, essendo stato informato che Bishr al-Ḥāfī si sarebbe trattenuto dal mangiare esercitando moderazione, rispose: “tuo fratello Bishr è nella giusta fase della scrupolosa pietà (wara’), mentre io sono allo stato dalla gnosi (ma’rifa)”. aggiungendo: “Sono ospite nella dimora del mio Maestro. Se Lui mi nutre, mangio, e se Lui mi ordina il digiuno, lo pratico con pazienza. Cosa ho a che fare con la scelta e la preferenza dell’ego?”
L’implicazione di tutto ciò è che qui gli gnostici o ‘ārifūn, i coloro che seguono il cammino spirituale, devono andare oltre l’attaccamento o l’abitudine alla fame e al digiuno così come al cibo e alle bevande, alla castità così come alla sessualità, ecc, rispondendo semplicemente con controllo e autodisciplina alle circostanze in cui Dio li pone, rinunciando all’ostinazione ascetica così come al desiderio incontrollato, e dando a ogni momento ciò che gli è dovuto.
Essi sono al Centro, in perfetto equilibrio nella Bilancia, hanno raggiunto la riva della Pace dell’Essere oltre le onde del mare del Divenire.

