di Giuseppe Aiello
Il Digiuno
Per le prime autorità sufi, anche quando la fame e il digiuno vengono perseguiti adeguatamente, non vi è ancora alcuna garanzia che non diventino ostacoli alla vita mistica, e ciò è dovuto al mancato riconoscimento del loro valore relativo, cioè per dire, abituandosi a tal punto al digiuno (ṣaw) e alla fame (jū’) da rimanere inconsapevoli della loro funzione di essere solo un mezzo per raggiungere un fine.
Per essere più precisi, il pericolo sta nell’attaccarsi al digiuno al punto che mangiare e bere diventino più difficili per l’anima dell’astensione stessa. La logica del mukhālafat al-nafs o “opposizione all’ego”, così centrale nell’Islam, in questa luce a volte richiederebbe il consumo di cibo e bevande quando l’anima diventava avversa ad essi, proprio come richiedeva di privarla di cibo e bevande. quando si attaccava eccessivamente ad essi, in modo da consentire al viandante spirituale di elevarsi del tutto al di sopra del potere del desiderio e dell’abitudine. Ed è per questo che Sahl disse: “quando sei sazio, cerca la fame in Colui che ti ha provato con sazietà. E quando avrai fame, cerca sazietà in Colui che ti ha provato con la fame”. In altre parole, non essere attaccato a nessuno dei due stati, perché l’attaccamento stesso potrebbe impedirti di liberarti dalle catene dell’ego.
Fu per questo stesso motivo che Ibn Sālim disapprovava la pratica di un certo shaykh di Bassora che digiunava tutto l’anno (sawm al-dahr) con una dieta a base di pane una volta alla settimana, il venerdì. «Non lo saluterò», rimproverò l’uomo, «finché non avrà rotto il digiuno con il pane», perché si era troppo attaccato al digiuno e al suo regime ascetico.
Un esempio degli inconvenienti inerenti a un approccio così sbilanciato può essere trovato anche nel racconto di un altro shaykh che digiunava continuamente, indipendentemente dal fatto che fosse in viaggio o meno. Una volta i suoi compagni gli fecero pressioni affinché si prendesse una pausa dalla sua routine di abnegazione. Dopo aver acconsentito, si ammalò così tanto per aver deviato dalle sue consuete abitudini che non poteva più eseguire i suoi riti religiosi più rudimentali. La lezione, per quanto riguarda Sarrāj, è che quando l’anima si abitua eccessivamente a un’attività pia, la gioia che deriva attraverso il consolidamento della pratica può deformarsi nel suo motivo sottostante, sostituendo quello che una volta era solo un desiderio di soddisfazione divina, un’intenzione la cui sincerità può essere misurata dalle difficoltà da essa imposte. Ed è per questo che i primi Sufi erano praticamente unanimi nel loro punto di vista secondo cui la ragione per cui il Profeta (ﷺ) considerava il digiuno alternato di Davide il migliore dei digiuni era perché impediva all’anima di sperimentare il piacere nato dall’abitudine.

