di Roberto Siconolfi
Le nuove tecnologie sono sempre più parte integrante dell’organizzazione umana. Ma le idee in merito al loro fine e alla loro essenza sono talvolta limitate.
Limitate in uno spazio angusto ed ideologico.
Troppo spesso, infatti, il quadro d’insieme culturale, scientifico ed ideologico dato, nel quale è possibile anche solo riflettere, sembra a senso unico.
E sempre il senso, stavolta comune, sembra dominare in quello che è il dibattito pubblico e politico in merito alle stesse.
Dal darwinismo, secondo il quale anche la macchina si evolverà come l’uomo, così come l’uomo si è evoluto dalla scimmia; al postumanesimo, secondo il quale il dominio dell’uomo (magari maschio, bianco, etero, occidentale), va superato in favore dell’eguaglianza di tutti gli enti della bio e tecnosfera.
Ma la funzione importante e fondamentale delle nuove tecnologie andrebbe coniugata nel quadro di una riscoperta dell’uomo, non tanto nella sua reazione conservativa dell’“umanesimo impaurito o arrabbiato” (ct. Cosimo Accoto), che respinge la tecnologia in quanto tale, ma nello scoprire che cosa egli sia, che cosa sia la sua coscienza, e se la macchina possa averne una – ipotesi impossibile dal mio punto di vista, e non solo mio.
Solo a un tale livello, è possibile trovare un terreno di coniugazione tra l’attività umana e la tecnica, una coniugazione che sia integrativa, “armonica”, anche con la biosfera.
Questo con la consapevolezza che buona parte della rivoluzione tecnologica sia già avvenuta, e che per certi versi l’uomo possa già considerarsi “transumano”, dato l’alto livello di simbiosi con i dispositivi tecnologici e mediatici raggiunto già ora.
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