a cura di Andrea Cecchetto
Ecco magistralmente spiegati i “concetti” di mistica, morte iniziatica, estinzione dell’ego, ecc.
- La tappa obbligatoria della via del sufi è l’estinzione (fanā’). Per poter ricongiungersi con Dio è necessario morire a se stessi. “‘Dio ti fa morire a te stesso e ti fa vivere in lui’ […]. Morendo a se stesso, tuttavia, il mistico non cessa di esistere nel vero senso della parola, come individuo; piuttosto si può dire che la sua individualità, inalienabile dono divino, viene perfezionata, trasformata e resa eterna tramite Dio in Dio” [Arthur John Arberry, Introduzione alla mistica dell’Islam, 1986, pp. 45-46]. Questo concetto venne espresso dallo sceicco Aḥmad Al-‘Alāuī (1869-1934) con le seguenti parole: “Gli gnostici vivono una morte che precede la morte del corpo fisico. Il Profeta disse: ‘Muori prima di morire’, e questa è proprio la morte reale, dato che la morte del corpo fisico non è null’altro che un passaggio da un mondo ad un altro. Il vero significato della morte nella dottrina dei Sufi è la totale estinzione dell’individuo, ovvero la sua totale obliterazione e il suo totale annichilamento. Lo Gnostico muore a se stesso e all’intero mondo per risorgere in Dio, cosicché se viene interrogato a proposito della sua esistenza non potrà rispondere, dato che ha completamente perso di vista la sua individualità” [Martin Lings, Un santo sufi del XX secolo, 1994, pp. 155-156]. Il concetto di fanā’, ‘estinzione’, ha molti punti in comune con quello buddhista di nibbāna [nirvāna]. Questo concetto venne definito dal Profeta come ‘grande guerra santa’, ovvero la grande guerra contro l’idolatria dell’anima. L’anima umana è diventata schiava dell’io che impedisce all’uomo di ricollegarsi a Dio. “Tendiamo a identificare noi stessi con la nostra mente e il nostro corpo. Pensiamo di essere la mente e il corpo. E questa è l’illusione fondamentale della vita, la causa di tutte le tragedie della vita. Questo identificarsi forma il falso ego, ed è questa illusione che deve essere superata, così che possiamo riscoprire la vera natura della nostra coscienza, il nostro vero sé che è in realtà collegato con lo spirito universale” [Joannes Hendrikus Witteveen, Sufismo universale, 1998, p. 134] (Franco Fabbro; Neuropsicologia dell’esperienza religiosa, pp. 262-263).
Non si tratta solo di teoria. Si provi a sospendere il giudizio sulle cose (fare epochè), limitandosi ad osservare ciò che rientra nel campo percettivo, senza applicarvi la nostra categoria “Io“, senza la narrazione dogmatica “Io, soggetto, vedo gli oggetti del mondo“, senza il solito vecchio sguardo che – in funzione del numero – separa il reale in “tante cose“.

