di Giuseppe Aiello
«Risvegliarsi dal sonno profondo della negligenza, emergere dalla lassitudine profonda…»
Sono le parole introduttive del “Manazil al-Sa’irin” (Le Stazioni di coloro che percorrono la Via), testo del tasawwuf del maestro sufi hanbalita Abu Abdullah al-Ansari
Il risveglio” o Yaktha , come è letteralmente conosciuto e pronunciato nella lingua araba, è la prima delle tante stazioni che si devono abbracciare e completare nel proprio viaggio verso Allah l’Onnipotente.
Tutti i grandi maestri dicono che è importante che ci si “risvegli” prima di lasciare questo mondo, in modo da essere consapevoli e pronti per le realtà dell’Aldilà.
Sebbene possiamo essere fisicamente svegli, riuscendo anche a svolgere i nostri riti quotidiani, la domanda che dobbiamo porci è: siamo spiritualmente svegli?
Molte autorita spirituali raccontano che lo studio e il regno del tasawwuf sono stati innescati da un ayah nel Corano. In questo ayah, Allah (SWT) ci informa che ha un solo consiglio per noi:
“O Messaggero, di’ loro: in verità ti do “solo e soltanto” (innama) un consiglio– di stare ritti [ossia alzatevi, svegliatevi] per Allah (SWT), a coppie o individualmente, e poi riflettete “ (34:46)
La parola araba usata qui è “innama” che letteralmente significa questo e solo questo, o assolutamente questo.
“e poi riflettete”:
la mente e il flusso di pensieri che in essa si dipana costituiscono un ostacolo, un divenire, una sorta di vortice ipnotico che ci addormenta e ci incanta, riducendoci in schiavitù (come anche affermato dai testi metafisici indù), e orienta il nostro sguardo in basso, sul dunya.
Questo prezioso versetto non intende dirci che dobbiamo liberarci dalla mente, perché anch’essa è un dono divino e quindi ha una sua funzione e ragion d’essere, ma che essa potrà essere davvera utilizzata in senso benefico e attivo – attraverso la “riflessione” – solo DOPO che ci saremo svegliati e alzati. In caso contrario, essa ci incatenerà a terra e vivremo la nostra vita sempre imprigionati e sdraiati.

