a cura di Giorgio Massara
Arjuna chiede a Krishna:
“Come potrei nel corso della battaglia respingere con le mie frecce uomini degni della mia venerazione? Preferirei mendicare. Non so se sia meglio vincerli o esserne vinti. Se li uccidessi, perderei il gusto di vivere. Sono confuso sul mio dovere e ho perso ogni contegno. Istruiscimi, Ti prego.”
(Bhagavadgītā 2.4-7)
Krishna risponde spiegandogli che l’anima è eterna e il corpo transitorio:
“Mai ci fu un tempo in cui non esistevamo, Io, tu e tutti questi re, e mai nessuno di noi cesserà di esistere.”
(Bhagavadgītā 2.12)
La sofferenza di Arjuna è dovuta al suo attaccamento per i corpi mortali di amici e parenti, e Krishna gli ingiunge di tollerare le inevitabili miserie della vita:
“O Arjuna, grande tra gli uomini, chi non si lascia turbare né dalla gioia né dal dolore, ma rimane impassibile in entrambe le circostanze, è certamente degno della liberazione.”
(Bhagavadgītā 2.15)

