a cura di Tragicomico.it
C’era un tempo in cui gli oggetti erano fatti per durare. Per sempre.
Pensateci: una sedia, solida e robusta, di quercia massiccia, non come quelle cosette di plastica che vendono oggi, che se ti ci siedi con un po’ di foga ti ritrovi a gambe all’aria. No, quella sedia di quercia del ‘800, la compravi, la lucidavi, ci morivi sopra e poi la lasciavi in eredità ai figli, che a loro volta ci morivano sopra, passandola poi ai nipoti, in un ciclo eterno di sederi e lucidature.
“Il vecchio è bello!”, gridavano, mentre lucidavano con orgoglio i segni lasciati dalle generazioni passate.
Oggi? Oggi viviamo nell’era del “usa e getta”. Compriamo cose che sappiamo già che butteremo via. Tutto è fragile, inconsistente, come le promesse di un politico. Comprate una sedia? Dopo un anno si rompe. Un paio di scarpe? Dopo sei mesi si scollano. Un telefono? Dopo due anni è obsoleto, un dinosauro digitale.
“Il nuovo è bello!”, urliamo, mentre gettiamo via le nostre cose vecchie, in un’orgia di consumismo sfrenato. Ma è un grido vuoto, un grido che nasconde una profonda insicurezza. Perché in fondo lo sappiamo: le cose di una volta, quelle fatte per durare, avevano un’anima. Avevano una storia, una patina di vissuto che le rendeva uniche. Avevano quel fascino discreto e un po’ malinconico che solo il tempo può dare.
E noi? Noi ci ritroviamo circondati da oggetti senz’anima, in case piene di cose che non ci servono, che non ci piacciono nemmeno tanto, ma che continuiamo a comprare, in un loop infinito di insoddisfazione e spreco.
La tragedia di un’epoca che ha perso il contatto con la bellezza del duraturo, con il valore del vecchio, con la saggezza del riparare invece di buttare.
E mentre corriamo, esausti e insoddisfatti, la sedia di quercia del diciannovesimo secolo ci guarda, dal museo in cui è stata confinata, con un misto di compassione e di malinconico divertimento.
Lei sì che ha capito tutto!

