a cura di Giuseppe Aiello
[Ecco] la descrizione del Giardino che è stato promesso ai timorati [di Allah]: ci saranno ruscelli di un’acqua che mai sarà malsana e ruscelli di latte dal gusto inalterabile e RUSCELLI DI UN VINO delizioso a bersi, (47:15)
“Oh vieni, spargiamo petali di rosa e riempiamo la coppa di vino,
Strappiamo il soffitto dell’universo e creiamone uno nuovo.’”
Questi versi scritti dal famoso poeta persiano Hafez sono tipici della tradizione della poesia sufi che celebra sia lo spirituale che il sensuale attraverso metafore legate al vino e all’ubriachezza.
Nella tradizione sufi, il vino è ovviamente considerato divino.
Alcune tradizioni della storia islamica della creazione paragonano Allah al primo Versatore di Vino e i corpi dei credenti a una coppa riempita di Vino.
Il vino, in questa prospettiva può essere visto come il dono della vita stessa, oppure della conoscenza e della scienza divina.
Ecco allora che la “Taverna” – uno dei luoghi più degradati, ove l’uomo che beve vino materiale si abbruttisce e si rovina – diviene è il “luogo” privilegiato dei mistici.
“Bere vino” (celeste) purifica l’anima, la eleva a stati superiori, proprio come di converso, il vino materiale “abbassa” verso stati inferiori.
Curiosamente, nelle opere artistiche a sfondo mistico ed esoterico, è sempre la donna che offre il “vino” all’uomo, durante il viaggio nell’ebbrezza divina intrapreso insieme dalla coppia. Ma ciò necessiterebbe di un discorso molto complesso.
“E si passeranno a vicenda dei calici d’un vino che non farà nascer discorsi sciocchi, o eccitazion di peccato” (52, 22-23 – Bausani)

