di Luca Rudra Vincenzini
Le scimmie, con al loro comando Hanuman, contemplavano l’oceano prima di attraversarlo: “quell’oceano (sāgara) aveva l’aspetto del firmamento (kha) ed il firmamento era simile ad esso; non li si poteva distinguere; l’acqua si confondeva con il cielo e viceversa; il formicolio delle stelle corrispondeva a quello delle pietre preziose e delle perle (contenute nell’oceano) sulle quali si muovevano frotte di mostri (makara). Le valorose scimmie contemplavano sconvolte quell’immensità che sembrava loro l’espressione di un’emozione profonda”, Rāmāyaṇa.
In una lettura psicanalitica il cielo è l’inconscio superiore che guida nell’oscurità della notte. Le stelle (tārā) sono, con la loro luminosità (virtù), a rischiare il percorso: il travagliato viaggio dell’io verso l’individuazione. Il roboante temporale si mischia al frastuono delle onde, mentre sotto le stelle l’oceano profondo è percorso dai mostri (makara) dell’inconscio istintuale (pulsioni) che sovrastano e proteggono i suoi tesori preziosi (pietre-perle-poteri-siddhi). Le scimmie, che valorose portano con loro l’energia della natura animale, useranno dei tronchi (parti rimosse della vecchia personalità) per costruire un ponte verso Laṅkā.
Le armate sono capeggiate dal valoroso Hanuman, contraddistinto dalla forza e dal coraggio, ma sopra ogni altra caratteristica dalla devozione (bhakti) e dalla fiducia incrollabile (śraddhā) che l’amore per Rāma (il Sé) avrebbe, senza dubbi (niścitam), prodotto l’effetto trionfale sopra qualsiasi altro imprevisto accadente in quel immenso, terrifico e meraviglioso spazio in cui cielo e mare si mischiano.

