a cura di Giuseppe Aiello
Disse il Profeta Muhammad: “Ho amato del vostro mondo di quaggiù tre cose, il profumo, le donne e la preghiera”.
Forse non c’è hadith più citato in Occidente per denigrare il Profeta o darne una immagine “materialistica” o edonistica. In realtà, si dovrebbe conoscere la profondità simbolica e metafisica del “profumo”, delle “donne” e della “preghiera”, per comprendere, al contraria, la grandezza spirituale del nostro Profeta.
Qui cercheremo di approfondire, con Ibn Arabi, l’aspetto relativo alla sessualità.
Gli esseri umani vivono in un mondo di connessione e separazione, e il rapporto sessuale è comunemente inteso come un’intensa espressione d’amore tra un uomo e una donna.
Ma per Ibn Arabi è qualcosa di molto più profondo: l’atto di vedere e sperimentare Dio è ciò che un credente realizza attraverso il rapporto sessuale. Perché c’è un atto di unione che sfida la fissazione ordinaria della dualità. Ed è un desiderio che ci spinge a fare questo. È dunque attraverso la strumentalità del desiderio che la ricerca dell’Unione con l’Uno sorge in noi.
Ibn Arabi parla del desiderio raccontando la storia del profeta Ilyas.
Egli dice: “Il profeta Ilyas (Idris) ebbe un visione in un sogno. In esso, vide il Monte Libano. Il profeta Ilja, che salì la collina, perse tutti i suoi desideri. Così il Profeta Ilia divenne un mero intelletto senza desideri. Così, in Lui, Dio è diventato semplicemente trascendente.” Perché un sé che è mero intelletto poteva vedere solo il Dio trascendente. Dio immanente non potrà mai essere sperimentato da un tale sé.
Ma per Ibn ‘Arabi tutto è rivelazione (Tajalliyat) di Dio ed Egli è simultaneamente trascendente e immanente. Solo quando queste due realtà di Dio possono essere comprese e vissute pienamente, si può sperimentare e comprendere la Realtà nella sua totalità.
Ibn Arabi narra la storia del Profeta Ilyas per indicare le realtà esoteriche e metafisiche insite nei desideri umani. Quando si abbandonano i propri desideri, e ci si ferma lì, si diventa incapaci di sperimenta le benedizioni di Dio. Egli può ottenere solo il Dio trascendente. In altre parole, l’intelletto blocca la possibilità di raggiungere la presenza di Dio attraverso i desideri. Allora l’intelletto esiste come un velo tra Dio e l’uomo. Quel velo è stato tolto solo quando si viaggia, si ridiscende, alla ricerca del desiderio. Perché è attraverso il desiderio che si può raggiungere l’oggetto della sua ricerca eliminando il sé egoico in lui.
Ibn Arabi cita anche la storia di Hazrat Maryam che si riferisce al desiderio.
Egli dice: “Maryam scambiò l’Angelo Gabriele che venne da lei in forma umana per qualcuno che voleva giacere con lei. Così cercò la salvezza da Dio [da ciò che in quel contesto era proibito]. Attraverso questa azione pudica, è stata capace di raggiungere la completa intimità con Dio (fase ascendente). Più tardi, quando Jibreel informò Maryam che egli era solo un messaggero di Dio, lei raggiunse la pace interiore, e fu in quel momento che tempo che l’angelo Gabriele “insufflò” Isa a Maryam” (fase discendente).
In altre parole, come riflesso per il credente, vuol dire che il controllo iniziale del desiderio sessuale (fase ascendente, pudore e separazione) è una prima stazione spirituale, a cui deve seguire il suo completo e più profondo soddisfacimento (fase discendente, matrimonio) accompagnato però dalla “presenza” e dalla “benedizione” di Allah ottenuta grazie alla fase precedente. In tale modo, si conosce Allah nella Sua immanenza.
Ibn Arabi usa la parola ‘Shahwa’ (desiderio carnale) quando descrive la storia di Maryam e Ilyas nel Fusus al-Hikam. Shahva può essere tradotto come desiderio o lussuria. Qui, Ibn Arabi parla collegando la lussuria con il profeta Ilyas e il desiderio con Maryam. In tal modo, Ibn Arabi legge il rapporto sessuale e il naturale desiderio sessuale come manifestazioni dell’intimità divina. Non c’è nulla in questo mondo che non sia la Sua gloria. Si può vedere Allah in tutti i desideri, sia fisici che non fisici.
Ora andiamo all’ontologia della femminilità e della mascolinità.
Per Ibn Arabi, la femminilità non è solo una condizione biologica. ma anche ontologica. Ibn Arabi lo articola così:
”Il rapporto tra l’uomo e la donna è come il rapporto tra Dio e la natura (Ibn Arabi paragona la donna alla natura). La natura accetta, accoglie i comandi divini, come la donna accoglie il seme maschile. La natura non può esistere senza gli ordini divini. La natura significa auto-manifestazione di Dio (Tajalliyat). Qui Ibn Arabi immagina i comandi divini come maschili e la natura come femminili. Entrambi gli elementi convergono ontologicamente al punto dell’Amore. D’altra parte, l’attività è il sé di un uomo, mentre una donna ha l’attività della ricettività. L’attività della mascolinità può essere paragonata all’attività divina di ‘Kun, Fayakun’.
Ecco perché Adamo è stato creato per primo. Ma qui la gerarchia coinvolta nelle relazioni uomo-donna è solo temporale. Significa che non c’è rapporto di potere ontologico o cosmologico tra uomo e donna. O meglio, uomo e donna non esistono come dualità di potere. La dualità in senso assoluto non esiste nel rapporto maschile-femminile di Ibn Arabi. Piuttosto, ha luogo la “fusione” tra i due corpi, ove non esiste il “potere”.
Pertanto le attività “maschili” e “femminili” sono possibili sia per i maschi che per le femmine. Perché per Ibn Arabi il genere è performativo. Quindi maschile e femminile non possono essere definiti in modo rigoroso. In altre parole, il genere non esiste a causa della differenze meramente biologiche.
L’uomo e La donna superano la temporanea e contingente dualità maschio/femmina attraverso l’unione sessuale. L’amore unisce insieme i due.
Ibn Arabi dice:
”Così Allah ha tolto dall’uomo un’immagine di se stesso. Quella è la donna. È nata dal desiderio di entrambi di incontrarsi. Ecco perché le donne divennero le preferite del Profeta (PBUH). Perché è in Adamo che Eva, creata a immagine di Adamo, deve essere cercata. Adamo, d’altra parte, dovette cercare Eva dentro di sé”. Questo può essere letto in congiunzione con il detto coranico “chi conosce se stesso conosce Dio”.
Per Ibn Arabi, uomini e donne non esistono sotto forma di autorità gerarchica formale. Piuttosto, ciò si attua attraverso il desiderio. La forma fisica di questa ricerca è l’unione fisica. È la più grande combinazione possibile di Amore in questo mondo.
Adottando sessualità come metafora, Ibn Arabi sfida le visioni gerarchiche del genere e la visione bigotta o meramente biologica della sessualità, equiparando l’ultimo realtà del matrimonio, chiamata ’Fana’ nel linguaggio tecnico del Tasawwuf, con il rapporto sessuale.

