di Giuliano Noci
Ma non erano gli Stati Uniti i paladini del libero commercio? A quanto pare, quando il vento del consenso elettorale soffia contro, anche il più sacro dei dogmi può essere sacrificato sull’altare del protezionismo. Trump alza i dazi, e la Cina — che una volta si difendeva — adesso contrattacca con ferocia. La guerra commerciale ha cambiato regole, giocatori e campo di gioco. E soprattutto: ha un nuovo arbitro, con gli occhi a mandorla e il pugno di ferro. La reazione cinese ai dazi di Trump è infatti stata immediata e dura: tariffe al 34% che, per la prima volta, colpiscono indiscriminatamente tutti i prodotti americani. In passato, ad esempio, in occasione del primo mandato di The Donald, queste erano state selettive con l’obiettivo di evitare una escalation. Questa volta è diverso. Perché una reazione così significativa? Per due ordini di ragioni. Pechino stava probabilmente intavolando una trattativa con Washington e si è trovata completamente spiazzata (occorre ricordare che l’anno scorso il Dragone ha esportato beni negli Stati Uniti per 500 miliardi di $). Per la prima volta, poi, la Cina percepisce una sorta di “asfissia da catene di fornitura”: tutti i paesi del sud est asiatico, dove le imprese cinesi hanno ri-orientato parte delle loro produzioni, sono stati colpiti da analoga misura. Il Partito ha in questo senso leve spuntate per operazioni di (parziale) aggiramento delle restrizioni commerciali.

