LE SFERE D’INFLUENZE EUROPEISTE DELLA GERMANIA UNITA

di Matteo Luca Andriola

Hans-Peter Schwarz, storico conservatore e biografo del politico democristiano tedesco Konrad Adenauer, apre il suo lavoro sul ruolo della Germania in quanto “potenza centrale d’Europa” (il volume “Die Zentralmacht Europas. Deutschlands Rückkehr auf die Weltbühne”, Siedler, Berlino 1994) con la considerazione che tra le grandi svolte della storia tedesca è da annoverare il 1° settembre 1994, giorno della partenza delle ultime unità russe dalla Germania. “Con ciò un’epoca, iniziata mezzo secolo prima, volge alla fine”, dice a p. 7. Cosicchè, quattro anni dopo l’annessione della RDT, l'”Anschluss” come l’ha definita l’economista marxista Vladimiro Giacché, la RFT è di nuovo tre cose in una: è uno Stato nazionale, è una grande potenza europea ed è la potenza centrale d’Europa. “Perchè esiste un solo paese che, grazie alla sua posizione geografica, alle sue potenzialità economiche ed alla sua influenza culturale, grazie alle sue dimensioni ed ancora grazie al dinamismo di cui dispone può sentire il compito di una potenza centrale – e questo è proprio la Germania”, scrive Schwarz a p. 8 del suo libro. La Germania è già una grande potenza europea. Ma poichè il concetto di “grande potenza” risveglia il ricordo di sfrenata politica egemonica, guerra ed annientamento, Schwarz propone il nuovo concetto di “potenza centrale d’Europa” – che vuol dire la stessa cosa.

E puntualmente, proprio il giorno della grande svolta, 1° settembre 1994, il leader della frazione CDU/CSU Wolfgang Schäuble insieme con il portavoce per la politica estera del gruppo parlamentale, Lamers, hanno pubblicato un documento strategico intitolato “Überlegungen zur europäischen Politik”, cioè “Riflessioni sulla politica europea”, consultabile online a questo link: https://www.cvce.eu/…/Piermattei_schauble+lamers… . Ivi sono formulati gli obiettivi della nuova politica tedesca da grande potenza – proprio nello stesso senso di Schwarz – e ci si pronunzia a favore della costruzione di un “nocciolo duro europeo” comprendente Germania, Francia e gli Stati del Benelux come nocciolo, mentre Germania e Francia sarebbero il “nocciolo del nocciolo duro” – con l’intenzione di risorgere finalmente dopo quasi 50 anni d’astinenza come potenza ordinatrice nel continente. Di fianco alla “stabilizzazione dell’Est” Schäuble e Lamers citano l’accesso allo spazio mediterraneo e lo sviluppo di una partnership strategica con la Turchia come ulteriori obiettivi strategici.

Il loro testo di 14 pagine può essere considerato come abbozzo strategico di base per il salto della RFT a potenza mondiale. I suoi autori ritengono che il paese sia destinato a diventare una grande potenza “in base alla sua posizione geografica, alle sue dimensioni ed alla sua storia”. E se la Francia e gli Stati del Benelux non dovessero essere d’accordo sulla costruzione del nocciolo europeo, la RFT potrebbe “essere tentata, in base a considerazioni sulla propria sicurezza, di effettuare da sola la stabilizzazione dell’Europa orientale, nella maniera tradizionale”, riportava il Politische Berichte n°19, 1994, p. 3. Le “tradizionali” risistemazioni tedesche dell’Est in questo secolo hanno causato al mondo per due volte milioni di morti ed anni di oppressione e distruzione bellica.

Per le loro tesi sull'”Europa del nocciolo duro” Schäuble e Lamers hanno trovato sostegno nel portavoce della direzione della Deutsche Bank, Hilmar Kopper, che nell’edizione domenicale della FAZ.NET – Frankfurter Allgemeine Zeitung, il più influente quotidiano tedesco, legato all’apparato industriale-finanziario, rendeva noto che nel documento della Unione era stato detto solamente ciò che tutti in effetti già “pensavano, sapevano o temevano”. Nello stesso tempo il presidente della Bundesbank, Hans Tietmeyer, riproponeva alla discussione il concetto dei “cerchi concentrici”, relativamente al futuro della politica europea della Germania, riportato sul FRankfurter Allgemeine Zeitung del 13 settembre 1994, p. 1.

In conclusione del turno di presidenza tedesco della UE il governo Kohl, in occasione del vertice di Essen del dicembre ’94, decideva un “approccio strategico” per gli Stati dell’Europa orientale, mirante all’estensione ad Est dell’Unione Europea – inizlamente la Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, l’Ungheria, la Romania e la Bulgaria si associarono all’Unione, mentre gli Stati Baltici e la Slovenia si prepareranno i relativi accordi per un’ingresso successivo. Sarà innanzitutto la RFT a trarre profitto dall’allargamento della Unione, visto che il 50% degli scambi commerciali della UE con l’Europa dell’Est toccano alla RFT. Pertanto l’Est è visto come “campo d’azione della politica estera tedesca”.

Qui comprendiamo cos’è la vera essenza dell’UE, perché il suo nucleo commerciale è la Germania, perché tale nucleo non solo si è espanso a est, ma perché fa leva per creare un’asse coi francesi – che hanno l’atomica, gli unici – a scapito dell’Italia. Per Germania, che ormai ha archiviato ogni velleità imperialistica manu militari, l’impegno primario è tenere avvinti i paesi est-europei al progetto d’integrazione europea di cui è forte promotrice, e lì la partita è principalmente geoeconomica. Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Austria, Ungheria, Slovenia e Croazia sono legate alla Bundesrepublik soprattutto in quanto parte della sua filiera industriale, produttiva e commerciale attraverso le direttive di un’area mitteleuropea, tutto ciò nel contesto più ampio della formulazione, iniziata nel 1990, di politiche atte alla cooperazione territoriale europea, cioè il famoso programma noto anche come INTERREG che, tramite il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, punta alla costruzione delle collaborazioni transfrontaliere, transnazionali e interregionali tra Stati Membri confinanti. Qui capiamo il ruolo strategico della Germania nella destabilizzazione dei Balcani, che serviva per penetrare un’entità anomala (socialista ma estranea al Patto di Varsavia e indebitata con i paesi occidentali e addirittura col Fondo Monetario Internazionale) facendo leva sui micronazionalisti regionali della zona, sloveno e croato in primis, complementare al ruolo della Turchia, che dagli anni ’80, ben prima dell’avvento del neo-ottomano Recep Tayyip Erdoğan, guarda ai Balcani – in primis la Bosnia-Erzegovina, il Kosovo e l’Albania – e al Caucaso in un’ottica di recupero dell’influenza di cui godeva nel periodo ottomano, memore del suo passato imperiale. E qui si spiega l’appoggio a leader islamisti, ma presentati come moderati dai media occidentali, come il bosniaco Alija Izetbegović, leader dello SDA, che si rifaceva a tesi panislamiche che il regime socialista jugoslavo mise al bando, e il kosovaro Ibrahim Rugova.

Il tutto senza mettere in discussione la NATO, perché, se volessimo esser “gradualisti”, l’Italia della Prima Repubblica ci insegna che il problema non è esser nella NATO, ma come ci si stà, da protagonisti e sovrani (si veda la politica estera mediterranea inaugurata da Amintore Fanfani nel 1958 e portata avanti da Aldo Moro, da Bettino Craxi e Giulio Andreotti) e qui notiamo che la Germania (e la Turchia) lo fa, a differenza dell’Italia post-Maastricht.

LE SFERE D'INFLUENZE EUROPEISTE DELLA GERMANIA UNITA
LE SFERE D’INFLUENZE EUROPEISTE DELLA GERMANIA UNITA

Pubblicato da vincenzodimaio

Estremorientalista ermeneutico. Epistemologo Confuciano. Dottore in Scienze Diplomatiche e Internazionali. Consulente allo sviluppo locale. Sociologo onirico. Geometra dei sogni. Grafico assiale. Pittore musicale. Aspirante giornalista. Acrobata squilibrato. Sentierista del vuoto. Ascoltantista silenziatore.

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