di Luca Rudra Vincenzini
Quante volte abbiamo sentito dire che Upaniṣad significa: sedere (sad) sotto (ni) nei pressi (upa) [di un maestro]? In riferimento al fatto che i veggenti (ṛṣi) o i maestri (guru) siedono, su un seggio, rialzati rispetto ai discepoli (śiṣya).
E se invece Upaniṣad significasse: verso (upa) quello che giace (sad) sotto (ni) [ciò che appare]? Intendendo con questo una dottrina segreta (rahasya) e iniziatica (dīkṣaṇa), volta alla ricerca del principio vitale (ātman)?
Ebbene la prima sembra proprio essere una spiegazione giustappostasi successivamente, rispetto all’uso iniziatico del termine originario.
Nacque in questo contesto l’utilizzo e l’associazione dell’oṁ come sillaba sacra, esprimente l’Assoluto come vibrazione creatrice (Śabdabrahman), rispetto al semplice uso come assenso alla recitazione (ok, è andata bene), a sancire il passaggio dal rituale esteriore vedico (bahiryāga) a quello interiore upaniṣadico (antaryāga).

