di Luigi Pruneti
A partire dal 19 giugno 2025 sarà in distribuzione il film del regista Louis Nero, dal titolo “Milarepa”, liberamente ispirato a un classico della letteratura buddista “Vita di Milarepa”, scritto da Rechung, quando il buddismo era penetrato nel Tibet da circa quattrocento anni, ibridandosi con l’autoctona fede Bön.
Fu Mila Thöpaga (1051 – 1135 d. C.) un maestro del buddismo tibetano vissuto nel villaggio di Kya Ngatsa, posto al confine col Nepal. Quand’era ancora un bambino suo padre morì e la famiglia dello zio ne approfittò per spogliare lui e la madre di ogni bene e ridurli in servitù.
La madre allora compì ogni sacrificio pur di portare a termine un’atroce vendetta sugli spietati parenti. Perciò, appena Mila raggiunse la giusta età, lo inviò da Yungtun-Trogyal affinché apprendesse le arti magiche.
In breve, il ragazzo fu in grado di esaudire i desideri della genitrice e, usufruendo di una particolare forma di magia nera, distrusse il villaggio dei suoi congiunti – nemici, provocando la rovina e la morte di molti di loro. La via della mano sinistra lo aveva, tuttavia, contaminato, giacché “se guardi a lungo nell’abisso, anche l’abisso guarderà dentro di te” (F. Nietzsche).
Fu indirizzato, pertanto, da altri maestri affinché potesse riequilibrare il suo karma. Mila iniziò, così, un nuovo e difficile percorso che lo portò da Marpa il quale non lo accolse nella sua scuola ma, con un atteggiamento apparentemente indifferente e crudele, lo costrinse per sei anni a condurre un’esistenza fatta di fatica, al limite del sopportabile e obbligandolo a compiere atti e opere apparentemente incomprensibili.
Quando, attraverso l’espiazione, il suo karma negativo si disperse, Marpa lo inviò a meditare in perfetta solitudine in una grotta e dopo un eremitaggio di un anno, lo accolse fra i suoi allievi e gli trasmise il potere del gtum-mo (il fuoco interiore).
Fu in tal modo che Mila, ormai Mila – Repa, diventò anch’egli un maestro, attorno al quale si riunirono ventuno discepoli che costituirono la scuola buddista Kagyu.
Vita di Milarepa è un classico della letteratura tibetana che presenta aspetti particolarmente intriganti ed eternamente attuali, quali il rapporto fra maestro e discepolo, la difficile via del riscatto e il complesso percorso alla ricerca del sé. Inoltre, è uno dei pochi testi dove è adombrata sia l’iniziazione alla via della mano sinistra, sia a quella luminosa della mano destra.
Ispirandosi al testo, Liliana Cavani diresse un film su Milarepa, uscito nel 1974, che riscosse un grande successo di pubblico e di critica. Curato in ogni dettaglio, con riprese girate in Abruzzo, per consiglio di Fosco Maraini, supportato da un’ottima fotografia e da un’eccellente recitazione, il film fu particolarmente apprezzato da Pier Paolo Pasolini in una recensione uscita su “Cinema nuovo” (n. 229 maggio – giugno 1974).
L’opera di Louis Nero ha un taglio molto diverso, è stato prima di tutto filmato in Sardegna e ambientato in un futuro post apocalittico, che ricorda la saga di George Miller; oltre a ciò la protagonista Mila, è un’adolescente che, desiderosa di rivalsa, si traveste da ragazzo per conoscere gli arcani del potere oscuro e operare la propria vendetta.
In seguito, la presa di coscienza di quel che ha compiuto la conduce sulla via della redenzione ma, se è facile scivolare nelle tenebre è difficile ritornare alla luce. Numerose sono le prove che deve superare, infatti, se è vero che in noi vi è la soluzione di molti problemi e la consapevolezza del bene, è altrettanto vero che nel profondo, risiede l’ombra: ignorarla non serve, solo la consapevolezza può vincerla.
Milarepa di Louis Nero si presenta, perciò, anche come un complesso itinerario iniziatico, una via d’Oriente che ha il proprio punto d’arrivo nel viaggio stesso, basta saperlo compiere.

