di Matteo Martini
Personaggi del mondo trumpiano, come Laura Loomer, Sean Davis, o ancora il vecchio Steve Bannon, hanno criticato l’elezione di Leone XIV, definito “marxista e globalista” o anche “marionetta marxista come Bergoglio”.
[La destra americana è davvero convinta che esista un potere occulto mondiale “marxista”, o fanno finta di crederlo?].
Questo conferma ancora una volta che Prevost è stato ben lungi dall’essere il candidato americano desiderato e “comprato” da Trump.
Dunque, sappiamo della donazione di 14 milioni elargita al Conclave e alla Chiesa (atto trasparente e legittimo, non una mazzetta a singoli cardinali), e che questo nella diplomazia sottobanco avesse il fine a suo modo di “ammorbidire” il ‘Sacro Collegio’ è una cosa più che verosimile (per quanto si trattasse di una donazione legittima).
Il punto è che se questa era la strategia di Trump per influenzare in anticipo il Conclave si è rivelata rozza: fra il venditore yankee e la scaltrezza millenaria di un’istituzione chiusa come la Chiesa (che vanta tra l’altro il migliore servizio segreto al mondo) non ci può essere storia.
A margine è girata l’osservazione che la stramba uscita di Trump autorappresentosi come l’Arcano V dei Tarocchi, alias il Papa, pochi giorni dopo la morte di Bergoglio, volesse alludere a questa sua sperata acquisizione di una sua marionetta a pontefice. Può essere solo oggetto di speculazione, però ex post questa idea prende un suo senso. Ciò detto, se fosse vero, questa sua boutade, connessa con la fissa comunicativa tutta “QAnon” di disseminare online simboli e prove anticipatorie, potrebbe addirittura essergli costata l’intera operazione. In altri termini, se anche fosse vero il tentativo di ingerenza trumpiano, questo gesto anticipatorio potrebbe avere “bruciato” il suo candidato in pectore, che poteva essere solo il cardinale Dolan, arcivescovo di New York e trumpiano.
Non sappiamo, per definizione, che ordini di scuderia e accordi si siano svolti fra Santa Marta e la Cappella Sistina, ma la convergenza dei voti dei cardinali, compresi quelli americani, non è andata al candidato trumpiano, ma ad un altro, per quanto per metà statunitense (ha passaporto peruviano da vent’anni).
Questo dimostra che la Chiesa, per quanto storicamente abbia nel passato subito le ingerenze di poteri temporali esterni vari e dipendenti dalle epoche (nobiltà romana, Impero etc.) è ancora una potenza solida e quando vuole relativamente impermeabile verso influenze esterne (altro che “Massoneria” nella Chiesa, pretesto polemico dei conservatori contro il cambiamento).
La Chiesa è ancora – ci piaccia o no – uno dei grandi poteri al mondo e sa a farsi rispettare anche rifilando un pacco al Presidente (il Potus, vi ricordate?).
Piuttosto vale considerare che da Giovanni Paolo I gli italiani, che pure sono ancora la maggioranza relativa nel collegio cardinalizio, non riescono a eleggere un cardinale italiano, segno non solo delle divisioni interne ma anche della perdita di centralità dell’Italia nelle dinamiche della Chiesa “universale”.

