L’ultima danza dell’Europa: Bruxelles tra illusioni e declino

di Ferdinando Pastore

13 Maggio 2025

L’Unione Europea appare smarrita e impotente, intrappolata tra retoriche belliche e fedeltà burocratica, mentre la realtà geopolitica la travolge. Il sogno europeista si infrange: decisioni caotiche, panico neoliberale e subalternità agli USA segnano il suo declino politico ed economico.

Il canto del cigno del mostro di Bruxelles*

L’Unione Europea emette gli ultimi rantoli vitali, ormai definitivamente espulsa dagli avvenimenti storici. Si sovrappongono i giuramenti di fedeltà dei burocrati agli enti sovranazionali di loro competenza, senza che questi abbiano alcun legame con il territorio di provenienza o con un’immaginaria nazione europea, e i proclami dei Capi di Stato e di governo noncuranti dei reali interessi delle loro popolazioni.

Un cortocircuito schizofrenico scaturito dal panico improvviso che ha colto la classe dirigente neoliberale, abituata a vivacchiare con le imposizioni costituzionalizzate dei vincoli di mercato.

Privati del pilota automatico, nei giorni in cui torna preponderante la centralità della decisione politica, gli alti funzionari del castello europeo si disperdono tra sguardi smarriti e frenetiche riunioni d’emergenza che restano sorde e afone perché prive di alcuna influenza.

Una dissociazione clinica non derivata solo dai tratti psicotici delle personalità in questione, certo selezionate, data la natura paranoica e demenziale degli organi che presiedono, con accurato riguardo alla loro potenziale sociopatia, ma connaturata all’impianto ideologico dell’Unione Europea. Occorre ogni tanto ricordare perché la UE non è assimilabile a quello che vorrebbe ancora essere l’ONU, ormai sminuito a involucro non deliberante grazie all’impunità legalizzata di Israele che può ignorare nel sangue le sue risoluzioni.

Il cosiddetto “sogno” europeo, immagine fantasmagorica dell’europeismo venduto come merce, si infrange nell’improvvisa apparizione della realtà sulla quale si è sempre basata la genesi ideologica dell’Europa unita: da un lato la costituzionalizzazione dell’economia di mercato, requisito essenziale della prassi neoliberale, tesa a spoliticizzare la società e a depotenziare il conflitto di classe, con l’elevazione del consumatore a esempio virtuoso di cittadinanza attiva, e dall’altro l’argine all’attrattiva sovietica, non tanto minacciosa per le sue mire militari, ma soprattutto per il fascino esercitato su gran parte della popolazione occidentale.

Il vecchio armamentario propagandistico incentrato sulla narrazione antisovietica è stato rispolverato allorquando la Russia si è rifiutata di assecondare le provocazioni occidentali, rese manifeste dalle attività espansionistiche della Nato.

L’applicazione letterale dei vademecum russofobi ha generato quel fanatismo bellico talmente spinto dal non considerare i reali interessi degli stati europei, in primis della Germania che sostanziava la propria prosperità economica attraverso lo scambio commerciale con la Russia.

A seguito delle farneticazioni della stampa e dei funzionari europei sulla necessità di una guerra a oltranza con il “mostro” Putin, sulla crisi dell’economia russa a seguito delle sanzioni e sulla certa vittoria bellica grazie ai rifornimenti di armi alle pattuglie dei coscritti ucraini, l’Unione Europea si ritrova oggi in stato ipocinetico, costretta a muoversi zoppicando solo grazie a un corrimano, immobilizzata dall’atto di forza degli Stati Uniti d’America che, in quanto legittimi promotori dell’ostilità bellica, concordano le condizioni di resa dell’Ucraina direttamente con la Russia.

Il suolo ucraino così sarà spartito con la restituzione delle terre abitate dai russi alla casa madre e con il resto messo a disposizione del capitalismo predatorio a stelle e strisce che lo piegherà ai propri interessi di profitto.

Nel frattempo, i tecnocrati europei, ipnotizzati dal fervore guerresco e riuniti in manieristici conclavi dove possono ululare alla luna, straparlano di armamenti, di difesa comune, di prosecuzione delle battaglie fino alla vittoria, quando il conflitto si è chiuso da mesi con l’inevitabile vittoria russa.

E, nel surrealismo politico tipico dell’era neoliberale, l’azionista di maggioranza della consorteria burocratica Mario Draghi annuncia in grande stile le condizioni di riscatto dell’Unione. Manco a dirlo il patto di stabilità potrà essere soprasseduto solo per ciò che concerne la corsa agli armamenti ma senza un intervento della Bce, che, al contrario, dovrà continuare a tenere i rubinetti ermeticamente chiusi, In più, auspica più deregulation e meno dazi interni così da stimolare una nuova ondata colonizzatrice statunitense e foraggiare più delocalizzazioni, lì dove il costo del lavoro asseconda la fame da schiavitù.

Insomma, con determinazione, si vorrebbe proseguire nell’incantato percorso che ha portato al disastro politico, economico e sociale del trentennio europeista. In una sorta di autismo filosofico i proponimenti programmatici in gestazione non si discostano dai protocolli istituzionali immaginati dai pensatori nostalgici dell’Impero austroungarico, che delinearono la codificazione normativa del pensiero neoliberale.

A ogni sconquasso provocato da quelle politiche si risponde con una recrudescente riproposizione delle stesse ricette, in quella che Federico Caffè definì la spirale neoliberista. Con l’arrivo di Trump difatti non si è chiusa l’era della dittatura dei mercati, anzi, si è provveduto a un’accelerazione del progetto capitalista di sostituzione della classe politica.

Sotto questo aspetto la dottrina esistenziale della Silicon Valley fungerà da trait d’union tra il tecno-autoritarismo di Trump, il cosmopolitismo totalitario dell’esportazione democratica e il rigorismo di bilancio dei tecnocrati europei.

Quel progetto di emancipazione individualista, così affine all’ideale piratesco della frontiera che non concepisce regole, comunità e classi, svilupperà un nuovo ordine concettuale al quale anche i democratici più sognatori si adegueranno. Soprattutto in Italia, luogo nel quale il Partito democratico rappresenta comunque l’asse centrale dell’equilibrio politico mercantilistico.

Non sarà difficile trovare, col tempo, un Trump progressista così come a suo tempo si trovò in Clinton un Regan affrancato dalla retorica neo-puritana.

Sicuramente ciò a cui assistiamo è il canto del cigno del fanatismo europeista, quell’ideologia oscurantista che ha contribuito in maniera decisiva a spogliare le popolazioni dalle garanzie sociali previste dalle costituzioni, a spoliticizzare le società nel nome di un’arbitraria giustizia di mercato a difesa degli investitori privati e a privatizzare i beni pubblici, protetti un tempo dalle dinamiche di profitto dell’economia di mercato.

Non resta che contrastare con tutte le forze a disposizione la riorganizzazione autoritaria del variegato mondo liberale che vedrà destra e sinistra, come sempre, unite nel reprimere qualsiasi tentativo di riscossa popolare ispirato all’orizzonte socialista e progettare, riabilitando una cultura d’opposizione sociale e politica, la conquista dello Stato.

Il che non equivale a concorrere, in quota parte, a futuri o possibili esercizi di governo nella logica dell’alternanza liberale.

Tratto da: KulturJam

L’ultima danza dell’Europa: Bruxelles tra illusioni e declino
L’ultima danza dell’Europa: Bruxelles tra illusioni e declino

Pubblicato da vincenzodimaio

Estremorientalista ermeneutico. Epistemologo Confuciano. Dottore in Scienze Diplomatiche e Internazionali. Consulente allo sviluppo locale. Sociologo onirico. Geometra dei sogni. Grafico assiale. Pittore musicale. Aspirante giornalista. Acrobata squilibrato. Sentierista del vuoto. Ascoltantista silenziatore.

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