a cura di Giuseppe Aiello
Ibn ‘Arabi distingue “ricompensa” e “dono”.
La ricompensa segue l’azione positiva, mentre il dono è un puro dono divino senza alcuna ragione conosciuta.
Sebbene ci siano solo pochi testi di Ibn ‘Arabi su questo, essi rivelano molto. Egli ci informa che colui che compie l’azione, attraverso lo “sforzo fisico” (esteriore) e lo “sforzo di sé” (interiore), riceverà INEVITABILMENTE (essendo una legge cosmologica a cui non si può sfuggire, il “karma” direbbero gli induisti) da queste azioni uno “svelamento”, che egli chiama lo “svelamento dovuto allo sforzo”.
Lungo questo percorso di ascesa, una volta che le anime sono purificate dalla “tristezza” della preoccupazione per l’abitudine e sono elevate al di sopra della loro condizione mondana, si associano al loro mondo appropriato, imparano ciò che gli spiriti elevati sanno dalla conoscenza del Regno Divino e dei suoi segreti, e hanno accesso ai significati esoterici (batin) del mondo, delle sue cose e dei suoi fenomeni.
Ibn ‘Arabi vuole quindi sottolineare l’esistenza della legge di causalità nell’azione degli esseri, poiché “per ogni azione c’è un risultato, un effetto”. Il Corano è d’altronde chiarissimo su questo.
Allo stesso tempo però vi è il libero “dono” divino, che non è limitato da una legge che lo governa, che è la legge della giustizia e della ricompensa, ma è legato a una “porta” aperta verso il lato divino, da cui entrano i doni provenienti da Dio per coloro che Egli sceglie, per qualche ragione che a noi esseri umani non è immediatamente comprensibile, tra i suoi Servitori.

