UOMINI D’ORDINE

di Carlo Weiblingen

Un punto sembra acquisito, se ci si interessa dello spirito che animò questa lunga e complessa impresa: gli Indoeuropei erano organizzatori di grandi capacità, amministratori particolarmente dotati e abili, in breve, uomini d’ordine. C’è qui sicuramente la nozione essenziale, già percepibile, come si è visto, nel loro tipo di concezione società. Uomini d’ordine, ispirati cioè al principio che ciascuno deve assumere in pieno la propria condizione e soprattutto tentare di superarla, fino al limite delle proprie possibilità, in uno slancio che riflette un ideale analogo a quello di Corneille. Oppure, al contrario, uomini che detestano il disordine, il caos, l’anarchia, insomma tutto ciò che compromette l’equilibrio sempre fragile di forze antagoniste, equilibrio al quale, come noto, si rifà sempre, nel nostro mondo, il corretto progredire di una società.

L’etica

E’ inoltre preferibile, come sempre quando si studia una cultura, attenersi all’etica che, come noto, resiste assai meglio all’usura del tempo. L’abbiamo detto in tanti modi: ciò che meglio caratterizza gli Indoeuropei è il senso dell’azione, la passione per l’ordine. Nessuna idea ha valore se non s’incarna in atti, nessun pensiero è accettabile se non scende immediatamente a livello del vissuto. Victor Hugo avrebbe detto, di questi uomini e di queste donne che comunicarono a una buona parte dell’umanità la loro lingua, e quindi le loro istituzioni (dal momento che una lingua non fa mai altro che tradurre una visione dell’uomo, della vita e del mondo): sono forze che vanno.

La gloria

D’altronde è proprio per questo che tali forze si riconoscono e sono riconosciute e ammirate. E qui introduciamo il tema onnipotente della <<gloria>> (ancora nel senso di Corneille): realizzazione cioè dell’idea più alta che ci si fa di se stessi, nell’ambito dei valori considerati preminenti da una società, e dunque la stima professata da questa stessa società per gli atti che le hanno valso tale rinomanza. Di questa gloria si può ben affermare che fu il principale valore indoeuropeo. Un uomo è grande in virtù delle proprie azioni, che, d’altra parte, se è corretta la linea di interpretazione seguita in questo studio, coincidono con l’esempio dato dagli avi e dunque si iscrivono in un linguaggio di cui questa gloria diventa in qualche modo il pegno. Instaurarla, mantenerla, diffonderla, sono preoccupazioni fondamentali. Ecco perché J. Ward elenca, fra le mancanze gravi da evitare, l’avarizia e il rifiuto dell’ospitalità. L’uomo degno di questo nome, il capo per privilegio – ma ripetiamo che non è detto si debba limitare l’analisi a questo stadio <<aristocratico>>, già peraltro da noi rifiutato – è generoso: della propria persona, dei propri beni. E il pegno cui tiene di più al mondo è la reputazione, la rinomanza. La migliore formulazione di questo ideale si può leggere nelle famose strofe 76 e 77 degli Hàvamàl, nell’Edda poetica:

Muoiono i beni,

muoiono i parenti,

e tu, tu pure morrai.

Mala reputazione

Non muore mai,

quella buona che si è ottenuta.

Muoiono i beni,

muoiono i parenti,

e tu, tu pure morrai.

Ma io so una cosa

Che non muore mai:

il giudizio dato su ciascun morto.

Si capisce quindi come la satira, lo scherno, il sarcasmo fossero intollerabili e gravemente condannati dalla legge: le culture indoeuropee sono shame-cultures, non ammettono che si possa vivere nella vergogna. I Celti in particolare hanno spinto all’estremo questo sentimento.

A conclusione di questa prima parte, basata decisamente sulle acquisizioni della paleolinguistica, rimane da dire che gli Indoeuropei, essendo la parola inseparabile dall’azione – al limite la parola è azione, crea, come esprime bene il greco poiein -, hanno dovuto dotarsi di uno speciale tipo di formulazione, presente con significativa costanza anche in tutte le culture derivate, che serviva mirabilmente ai loro disegni. Questi uomini d’azione, che amavano i valori dell’azione, non si attenevano al solo piano fattuale. Il loro pensiero aveva saputo per natura trovare il verbo che crea e , al tempo stesso, lasciarsi informare da esso. E’ forse questa la ragione più profonda del loro contagioso fascino. Essi restano vivi in noi attraverso mille peripezie. La loro parola, misurata, ordinata, continua a guidarci di atto in atto.

[L’uomo Indoeuropeo e il Sacro, Regis Boyer]

UOMINI D'ORDINE
UOMINI D’ORDINE

Pubblicato da vincenzodimaio

Estremorientalista ermeneutico. Epistemologo Confuciano. Dottore in Scienze Diplomatiche e Internazionali. Consulente allo sviluppo locale. Sociologo onirico. Geometra dei sogni. Grafico assiale. Pittore musicale. Aspirante giornalista. Acrobata squilibrato. Sentierista del vuoto. Ascoltantista silenziatore.

Lascia un commento