di Lelio Antonio Deganutti
Nel cuore del nostro tempo si agita un’antica ombra: “Saturno” è tornato. Non più il dio contadino dell’età dell’oro, ma il divoratore di figli, il signore del tempo che teme ciò che verrà, e per questo distrugge ciò che è giovane. L’Occidente, specchio di questo dio decadente, ha assunto le sue sembianze. Non è un declino biologico, è una fame metafisica: un’autoestinzione travestita da progresso.
A reggere le redini di questo tramonto è la gerontocrazia: un potere senile, scollegato dalla linfa vitale, arroccato nelle sue roccaforti digitali e militari. Un’aristocrazia del tempo esaurito che teme il sangue giovane, perché sa che il futuro non le appartiene. È il dominio della stanchezza che si difende con la violenza, della memoria che odia l’ignoto, della sterilità che vuole tutto sterile.
Così, in nome dell’ordine e della “sicurezza”, la giovinezza viene sacrificata. Gaza ne è l’altare sacrificale. Giovani offerti al culto del controllo geopolitico, dove Israele — testa di ponte di una volontà più antica e più vasta — colpisce non solo per strategia militare, ma per una simbolica più oscura: il messaggio è che la giovinezza mediorientale non può crescere, non deve diventare alternativa, non può incarnare un destino non scritto a Washington o Bruxelles.
Eppure, lo spettro che turba i sonni dell’Impero è altrove: l’Iran, giovane, ribollente, irriducibile. Con il 70% della popolazione sotto i 40 anni, l’antico impero dei persiani è un vulcano di futuro. Ma l’Occidente non vuole futuri altrui: vuole futuri simili, addomesticati, modellati sull’agonia demografica e spirituale che lo attraversa. Così, il progetto è l’infiltrazione, la rivoluzione “interna”, la manipolazione dell’identità: rendere l’Iran simile al mondo che non fa più figli, che non canta più culle, che disprezza le radici e le trasforma in merce.
È un nuovo colonialismo, non dei corpi ma delle anime.
“Saturno” non mangia più i suoi figli con le mani insanguinate, ma con algoritmi, con bombe “chirurgiche”, con narrative, con la sterilizzazione dell’immaginario. Il futuro è il nemico. La giovinezza, la fertilità, l’identità: sono pericolose. E allora devono essere o distrutte, o omologate.
Ma ogni mito ha una fine, e “Saturno” , un giorno, fu deposto da Giove. L’unica speranza è che, nel cuore di Gaza, nelle strade di Teheran, nei sobborghi delle città europee spente, si levi un grido nuovo: non quello del ritorno al passato, ma di un futuro che non ha paura di nascere.
Perché ogni figlio divorato è una condanna per chi lo divora.
E il tempo — per quanto si creda eterno — non può ingannare la Vita per sempre.

