di Luca Rudra Vincenzini
“Proprio come il ferro viene trasformato in oro nel fuoco (tejas), così anche la mente, attraversando intensamente il desiderio (kāma, non evitandolo), può diventare senza macchia (vimala)”, Sekkodeśa, Nāropā, sl. 125.
Discepolo di Tilopā, innestato nel lignaggio della Mahāmudrā, gli seguirono gli illustri Marpa e Milarepa; Nāropā è cosciente del fatto che, senza la potenza gonadica, c’è deperimento del corpo (se stai invecchiando velocemente sbagli qualcosa). Ora questa non va dispersa (vikṣepa), bensì lasciata ascendere al capo lungo il midollo spinale (bodhicitta). Lo stesso desiderio (kāma), che tiene legato lo stolto, è mezzo di liberazione per l’iniziato. Kāma surriscalda l’essenza (nying bsus-ojas-jing) facendola, come una lava che si muove lenta, salire al fiore dai mille petali (sahasrāra). Lì in cima, le due polarità maschile (ānanda) e femminile (śūnya), si fondono.
C’è liberazione solo nell’unione di beatitudine (ānanda) e vacuità (śūnyatā), non solo l’una non solo l’altra, l’una rimanda all’altra e l’altra all’una, l’una è ricettacolo dell’altra, le due sono una.

