Gaza Riviera: il modello del piccolo emirato dietro il sogno immobiliare post-genocidio

di Marquez

7 Luglio 2025

Il piano per una “Gaza Riviera” – analizzato dal Financial Time ed elaborato dal think thank di Tony Blair, ricalca i modelli di sviluppo urbano degli Emirati e dell’Arabia Saudita: lusso, grattacieli e assenza di cittadinanza piena. Un’idea che ignora il diritto all’autodeterminazione dei palestinesi.

Gaza Riviera, sogno immobiliare post-genocidio

Non desta particolare sorpresa il coinvolgimento del think tank di Tony Blair nella progettazione della cosiddetta “Gaza Riviera”. Ciò che merita invece maggiore attenzione è il modello stesso su cui si fonda questa visione: l’idea di trasformare Gaza in un hub immobiliare artificiale, svuotato della sua popolazione autoctona e privo di autodeterminazione, richiama dinamiche già ampiamente consolidate altrove nel Medio Oriente.

Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, esplicitamente indicati come esempi da seguire, incarnano un paradigma urbano in cui lo sviluppo è affidato a megaprogetti iper-moderni, ma strutturati su gerarchie socio-economiche rigide, spesso a scapito della cittadinanza piena per ampie fasce della popolazione residente.

Il ruolo del Tony Blair Institute nel progetto “Gaza Riviera”

Il Financial Times, nel suo articolo pubblicato il 6 luglio 2025, rivela che il Tony Blair Institute (TBI) ha partecipato allo sviluppo di un piano post-bellico per la Striscia di Gaza, denominato “The Great Trust”.  Il progetto, guidato da imprenditori israeliani e modellato attraverso strumenti del Boston Consulting Group (BCG), includeva idee come una “Trump Riviera” e l’“Elon Musk Smart Manufacturing Zone”. Il piano prevedeva perfino compensazioni per mezzo milione di palestinesi affinché lasciassero Gaza.

Due dipendenti del TBI hanno preso parte a gruppi di messaggistica e chiamate durante la fase di elaborazione del progetto, anche se l’istituto ha poi precisato di non aver né scritto né ufficialmente sostenuto il piano. Un documento interno, tuttavia, includeva un’esplorazione simile di rinascita urbana tramite isole artificiali e infrastrutture commerciali, senza però includere la proposta di trasferire la popolazione palestinese.

BCG ha negate responsabilità formali, licenziando due partner coinvolti, sostenendo che il progetto fosse stato condotto senza l’approvazione dei vertici.

Il paradigma delle petromonarchie: il modello “senza cittadinanza piena”

Emirati Arabi e Arabia Saudita incarnano da decenni un modello economico-sociale caratterizzato da strutture urbane verticali e rigidamente gerarchiche. I lavoratori esterni — migranti o “non-cittadini” — svolgono ruoli essenziali nell’edilizia e nei servizi, ma spesso senza diritti politici o rappresentanza. Città come Dubai appaiono “perfette” in apparenza, ma la realtà è quella di un sistema duale: elite locali e manodopera straniera, con accesso differenziato alla cittadinanza e alla ricchezza.

Queste stesse idee, filtrate e promosse anche da portaborse di fondazioni europee liberal, hanno costruito un modello urbanistico ed economico che ora si vorrebbe replicare nella devastata Gaza: rinascere, sì, ma in un contesto urbano con protagonismo zero per i palestinesi locali.

Il sostegno arabo: ambivalenze e interessi

Di fronte al contro-progetto statunitense, l’Arab League ha avanzato un piano alternativo da 53 miliardi di dollari per ricostruire Gaza senza spostamenti di popolazione. Approcciato da Egitto, Giordania, Emirati, Arabia Saudita e Qatar, questo piano prevede:

  1. Un comitato amministrativo tecnico legato all’Autorità Palestinese per i primi sei mesi.
  2. Palestinesi ospitati in alloggi temporanei all’interno della Striscia (container, prefabbricati) per almeno 1,5 milioni di persone.
  3. Fasi successive di ricostruzione a partire da 2025, con desalinizzazione, nuovi alloggi e infrastrutture come porte, porto commerciale e perfino un aeroporto.
  4. 53 miliardi dilazionati su 5 anni, supervisionati da un trust gestito, almeno in parte, da Banca Mondiale .

Ma il piano ha lacune evidentissime: chi governa dopo? Che ruolo ha Hamas? Dove trovano finanziamenti reali? Molto resta sospeso, e la supervisione internazionale appare incerta .

Autorità Palestinese: aspirazione a Emirato-amministrazione

In questo puzzle, l’Autorità Palestinese (ANP) mira a trasformarsi in una sorta di emirato amministratore. La proposta della Lega Araba affida temporaneamente a tecnocrati controllati dall’ANP la gestione di Gaza e delle fasi iniziali, consolidando così il suo potere politico e burocratico, senza però affrontare la rappresentanza democratica o l’autodeterminazione della popolazione locale.

Il capitalismo globale: non solo occidentale

È fondamentale riconoscere che chi trae vantaggio dal genocidio non è solo l’Occidente. Le petromonarchie arabe, attraverso fondazioni e investimenti, puntano a consolidare un controllo urbano-economico su Gaza. Gli Emirati, ad esempio, hanno già discusso pubblicamente il loro ruolo nella ricostruzione e nella governance temporanea dell’area . Allo stesso tempo, i fondi di carità sauditi hanno versato centinaia di milioni in aiuti immediati : è un legame ambiguo — assistenza sì, ma modulata dentro una logica di dipendenza e controllo.

Non sorprende che un’istituzione come il Tony Blair Institute partecipi al dialogo su un progetto urbanistico privato per Gaza, se consideriamo come il capitalismo reale operi da tempo in modulazioni socio-politiche di esclusione. Il tema centrale non è tanto la presenza internazionale, ma l’assenza di una popolazione autoctona che sia protagonista e cittadina di diritto pieno.

Se la ricostruzione parte da un modello di “Riviera artificiale”, attraversata da gerarchie e dipendenze, allora Gaza—come altrove nel Golfo—rischia di diventare un territorio “di servizio”, privo di cittadinanza e autodeterminazione. Ed è questo il vero nodo da affrontare, ben al di là del mero coinvolgimento di Tony Blair o Trump.

Tratto da: Kultur Jam

Gaza Riviera: il modello del piccolo emirato dietro il sogno immobiliare post-genocidio
Gaza Riviera: il modello del piccolo emirato dietro il sogno immobiliare post-genocidio

Pubblicato da vincenzodimaio

Estremorientalista ermeneutico. Epistemologo Confuciano. Dottore in Scienze Diplomatiche e Internazionali. Consulente allo sviluppo locale. Sociologo onirico. Geometra dei sogni. Grafico assiale. Pittore musicale. Aspirante giornalista. Acrobata squilibrato. Sentierista del vuoto. Ascoltantista silenziatore.

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