di Zela Santi
24 Luglio 2025
Zelensky promette un piano anticorruzione mentre chiede 120 miliardi per la guerra. Ma la fiducia crolla: accuse di deriva autoritaria, opposizione in crescita e sospetti su fondi finiti fuori controllo mettono a rischio il sostegno internazionale.
Zelensky sotto pressione: tra piani anticorruzione, crisi interna e richieste miliardarie all’Occidente
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato l’imminente presentazione di un piano anticorruzione, promettendo risultati concreti entro due settimane. Ma mentre si rincorrono le dichiarazioni ufficiali, il contesto in cui si colloca questa promessa è tutt’altro che rassicurante.
Secondo numerose inchieste giornalistiche, una parte significativa degli aiuti occidentali, sia in denaro che in armi, è uscita dal controllo delle istituzioni. Mentre crescono le evidenze sul tenore di vita sfarzoso di molti membri del governo, oltre la metà dei parlamentari ucraini sotto osservazione da parte dell’Ufficio Nazionale Anticorruzione (NABU) hanno recentemente votato a favore di una legge che limita proprio l’indipendenza di quest’organo e della Procura Specializzata Anticorruzione (SAPO).
Una contraddizione che getta ombre profonde sulla reale volontà di riforma all’interno dell’apparato statale.
Richieste titaniche per continuare il conflitto
Sul fronte militare, il governo ucraino ha fatto sapere di aver bisogno di almeno 120 miliardi di dollari per finanziare la difesa nel 2026. A rendere nota la cifra è stato Denys Shmyhal, neo-ministro della Difesa ed ex primo ministro, durante l’incontro con i rappresentanti delle missioni diplomatiche.
Le priorità indicate spaziano dall’autonomia produttiva nel comparto bellico alla collaborazione con aziende straniere, fino a nuove forniture per la difesa aerea. L’obiettivo è ambizioso: produrre almeno il 50% degli armamenti direttamente in Ucraina.
Il 21 luglio, durante una riunione del Gruppo di Contatto per la Difesa dell’Ucraina, Shmyhal ha avanzato richieste ulteriori: 6 miliardi di dollari addizionali, oltre all’accesso facilitato a sistemi d’arma statunitensi attraverso i partner europei.
Alcuni Paesi hanno già risposto. L’Olanda ha stanziato oltre 300 milioni di euro, la Germania ha promesso missili Patriot condizionandoli a forniture future dagli USA, mentre la Norvegia ha annunciato un contributo di un miliardo di euro, destinato in parte all’industria ucraina. Tuttavia, tutto questo non basta a colmare il divario tra le esigenze militari di Kiev e la disponibilità reale degli alleati.
Il piano “Build with Ukraine” e le sue implicazioni
Dietro l’iniziativa “Build with Ukraine” si cela un doppio significato: da un lato, il tentativo di proteggere la produzione militare dai bombardamenti russi attraverso la delocalizzazione delle attività produttive; dall’altro, l’eventualità, sempre più concreta, che parte dell’industria bellica ucraina venga assorbita dai Paesi NATO, in caso di un crollo militare o di un accordo di pace sfavorevole a Kiev. In questo scenario, l’expertise maturata durante il conflitto, in particolare nel campo dei droni e dell’intercettazione aerea, resterebbe nelle mani dell’Alleanza Atlantica.
Tre verità non dette: le “Fatime” ucraine
Nel discorso pubblico ucraino — e, in misura minore, occidentale — esistono tre questioni tabù, tre “segreti di Fatima” non rivelati: il numero reale dei soldati caduti, l’entità dei danni subiti dalle infrastrutture strategiche e le dinamiche interne al potere di Kiev. È proprio quest’ultimo punto a preoccupare maggiormente: l’atmosfera nei palazzi del governo è tesa, segnata da accuse, sospetti e strategie difensive.
Zelensky, consapevole di trovarsi in una posizione sempre più vulnerabile, pare agire ormai più per salvaguardarsi che per rilanciare il proprio potere. Non è un caso se testate tradizionalmente favorevoli al presidente iniziano a sollevare dubbi sulla sua leadership. Il Financial Times parla apertamente di “deriva autoritaria”, mentre The Spectator osserva che “gli ucraini hanno perso fiducia in Zelensky”. Anche Le Monde e Seymour Hersh, con tagli diversi, analizzano la crisi crescente.
Un futuro incerto
Tutto ciò accade mentre l’opposizione interna si fa più visibile. Figure come Vitali Klitschko o Oleksiy Goncharenko stanno tornando protagonisti, cavalcando il malcontento e ponendosi come alternative politiche. Arestovich rilancia dichiarazioni polemiche, mentre gli ex alleati si smarcano con cautela. Zelensky, da parte sua, sembra comprendere che la vera minaccia non arriva soltanto dalla Russia, ma dalla possibilità che l’Occidente, pur di uscire “a testa alta” dal conflitto, possa decidere di scaricarlo.
L’Ucraina resta così sospesa in un limbo: tra guerra e pace, tra sostegno e abbandono, tra un passato idealizzato e un futuro tutto da scrivere. E la figura del suo presidente — da eroe della resistenza a capro espiatorio — si staglia sempre più solitaria nel quadro incerto di una guerra infinita.
Tratto da: Kultur Jam

