di Alexandro Sabetti
31 Luglio 2025
L’America è in crisi profonda: identitaria e imperiale. Isolata, violenta e dipendente da psicofarmaci, esporta il proprio declino imponendosi su un’Europa ridotta a colonia. Ma la retorica patriottica non basterà a salvarla dal suo stesso vuoto.
Il declino americano e la sua ombra sull’Europa
Nel cuore della crisi globale contemporanea si staglia una verità scomoda: gli Stati Uniti d’America, a lungo percepiti – grazie a un prodigioso storytelling – come faro della civiltà occidentale, stanno vivendo una doppia crisi — interna e imperiale — che, lungi dall’essere risolta, viene esportata a suon di pressioni economiche, imposizioni geopolitiche e derive culturali. L’Europa, priva di una reale autonomia strategica, rischia oggi di trasformarsi nella discarica simbolica e materiale delle macerie dell’egemonia americana.
Una crisi identitaria e imperiale
La crisi interna degli Stati Uniti non si esaurisce nel dato economico o nella polarizzazione politica. È più profonda: è una crisi di senso. La narrazione fondativa della nazione americana — quella dei Padri pellegrini, del Sogno americano, della frontiera come spazio di scoperta — si è dissolta in un presente privo di ideali, dominato da un consumo insaziabile e da un nichilismo travestito da libertà individuale.
Secondo i dati del Pew Research Center (2022), l’85% degli statunitensi ritiene che la politica nazionale sia “profondamente corrotta”, e oltre la metà afferma di sentirsi “disconnessa” dalla propria comunità.
Parallelamente, la crisi imperiale si manifesta nell’incapacità americana di mantenere il proprio dominio mondiale senza ricorrere alla forza. La supremazia militare non basta più a giustificare un sistema economico fondato sull’accumulazione e l’egemonia monetaria.
La strategia delle sanzioni, delle guerre per procura e dell’imposizione di standard unilaterali su energia, difesa e tecnologia mostra crepe sempre più evidenti. Secondo il Congressional Research Service, gli Stati Uniti hanno partecipato direttamente o indirettamente a oltre 200 conflitti armati dal 1945 a oggi. È un dato che parla da sé.
Trump come sintomo (e acceleratore)
Donald Trump non è un’anomalia, ma il prodotto di questa doppia crisi. La sua retorica — protezionista, iper-nazionalista, vendicativa — rappresenta una risposta regressiva e predatoria al declino percepito. Il suo “America First” non è altro che una maschera per legittimare lo sfruttamento di partner commerciali, alleati strategici e persino cittadini interni. La sua proposta di benessere è, in fondo, una promessa neocoloniale: prosperare non grazie alla cooperazione, ma a spese degli altri.
L’illusione della “Grande America” si infrange contro dati sociali impietosi. Gli USA sono oggi uno dei paesi con il più alto tasso di suicidi nel mondo industrializzato, secondo l’American Foundation for Suicide Prevention. Il consumo di oppiacei come il fentanyl è diventato una piaga strutturale: nel 2023, secondo i CDC, oltre 112.000 persone sono morte per overdose, il numero più alto mai registrato nella storia del paese.
Un modello sociale autodistruttivo
Gli Stati Uniti stanno divorando sé stessi. L’atomizzazione sociale, l’isolamento crescente, la competitività estrema hanno sgretolato il tessuto comunitario. Il sistema ideologico americano — basato sulla supremazia dell’individuo, del profitto, della proprietà — si è trasformato in un boomerang esistenziale.
Gli USA sono oggi il paese con la maggiore incidenza di disturbi mentali trattati con psicofarmaci tra i paesi OCSE, come conferma l’OECD Health Statistics (2023). Non sorprende, quindi, che la partecipazione elettorale sia tra le più basse dell’Occidente industrializzato, e che la fiducia nelle istituzioni democratiche sia crollata.
I due principali partiti politici — Democratico e Repubblicano — risultano sempre più indistinguibili nelle loro alleanze con le grandi lobby economiche e industriali. La democrazia americana è un teatro in cui l’alternanza di governo maschera una continuità di interessi profondamente oligarchica.
L’Europa come colonia
Il malessere americano viene esportato. L’Europa, un tempo interlocutrice, è ora ridotta a mercato di sbocco e a pedina strategica. Dalle forniture energetiche (acquistate a prezzi imposti) alle scelte in politica estera (dalla Nato al sostegno a Israele), l’Unione Europea mostra una dipendenza sistemica dagli Stati Uniti. L’autonomia strategica europea — tanto evocata quanto disattesa — resta un miraggio. Come ha sottolineato Emmanuel Macron nel suo controverso discorso del 2023 a Pechino, “l’Europa non deve essere vassalla”.
Tuttavia, i fatti raccontano un’altra storia. L’imposizione di standard tecnologici americani, il controllo digitale attraverso i big tech, la subordinazione militare agli interessi statunitensi rendono l’UE un’appendice dell’impero. Il paradosso è che, mentre gli Stati Uniti declinano, riescono ancora a trascinare i loro alleati nella loro agonia geopolitica.
Il futuro che incombe
L’egemonia americana è malata di se stessa. La sua violenza non è soltanto militare, ma culturale, esistenziale. È l’esportazione di un vuoto di senso mascherato da libertà, di una crisi profonda mascherata da progresso. L’Europa deve decidere se restare in questo abbraccio mortale o riconquistare una propria traiettoria storica.
Gli Stati Uniti, nel frattempo, dovranno affrontare il conto del loro declino imperiale. Perché nessun impero, per quanto armato, può sopravvivere a lungo quando ha smarrito il proprio significato.
Tratto da: Kultur Jam

