di Lorenzo Di Chiara
Riprendo brevemente la parola sul tema Nazionalsocialismo per rispondere più dettagliatamente – e pubblicamente – a Giorgio Parazzune, che ha segnalato una divergenza rispetto alla mia prospettiva interpretativa.
Dal mio punto di vista, come già gli studi di George Mosse avevano ben argomentato, esiste una certa relazione, che per me è anzi una vera e propria filiazione genealogica, fra Nazionalsocialismo e Romanticismo tedesco. Non starò qui a dilungarmi in merito su un argomento che ci condurrebbe troppo in là.
Tuttavia – e questo è appunto l’oggetto della mia risposta – io sono del parere che il Nazionalsocialismo *non* sia totalmente identificabile e sovrapponibile, quanto a vocazione essenziale, con il Romanticismo. È proprio qui che la lezione di Giorgio Locchi e di Adriano Romualdi – che io faccio mia – si rivela preziosa e stimolante. In questo senso, anche autori più recenti come Jeffrey Herf (Il modernismo reazionario) e Roger Griffin (Modernismo e fascismo) hanno correttamente inquadrato la materia.
Il Nazionalsocialismo si ricollega certamente alla corrente romantica, di cui però vuole essere figlio originale: nel Nazionalsocialismo non vi è mera “nostalgia” (Sehnsucht) in senso romantico, cioè doloroso ripiegamento su un passato che si sa, in fondo, esser perduto per sempre e che, al massimo, può esser fatto oggetto di “letteratura”.
Fatta sua ed elaborata a suo modo l’eredità romantica, il Nazionalsocialismo andò oltre: nel bel mezzo dell’età tecnologica, si propose a tutti gli effetti come un “archeofuturismo” il cui intento fu quello di proiettare un profondo passato e una eredità liberamente scelta – passato ed eredità ben più antiche dell’orizzonte medioevaleggiante rivendicato dai romantici e da taluni neoromantici – in un avvenire altrettanto lontano. Il termine Zukunft negli autori nazionalsocialisti ricorre spesso ad indicare questo slancio verso un avvenire rigenerato (che tanto disturba i conservatori e i reazionari di ogni specie). Slancio che si accompagna sempre al motivo antiegualitario della Züchtung, della “selezione gerarchica e qualitativa” di nuovi ordini e di una nuova umanità. Tutto ciò indica una predisposizione dinamica, un “darsi da fare” che allontana vistosamente il Nazionalsocialismo da ogni nostalgia utopistica verso il “paradiso perduto”.
Per quanto il movimento nazionalsocialista abbia peraltro annoverato fra le sue fila rappresentanti di una visione più schiettamente antimoderna (penso al “ruralismo” di Walther Darrè), io resto del parere che, nel suo complesso, il Nazionalsocialismo non abbia avuto un’anima reazionaria e negativa nei confronti della modernità, intendendo appunto incarnare una possibile “rivoluzione conservatrice” che tenesse conto degli strumenti messi a disposizione dal presente storico. Più che un’antimodernità pura e semplice, il Nazionalsocialismo volle dunque rappresentare un’*altra modernità*, una modernità che – attraverso un atto di volontà quasi magica, come sostenne Rauschning – sottraesse le innovazioni e la tecnica moderna all’ideologia egualitaria uscita dal 1789 per provocare quella “rottura del tempo storico” (Umbruch der Zeit) già evocato dalle correnti della Rivoluzione Conservatrice. In questo senso, il Nazionalsocialismo si configura come una delle possibili declinazioni del “nichilismo tedesco” così ben studiato da Francesco Ingravalle.
Qui, il riferimento non può che andare a colui il quale ha più profondamente incarnato l’atteggiamento – estetico, culturale – nazionalsocialista: Joseph Goebbels. In un suo discorso, egli evoca – e non per puro vezzo poetico – una “stählerne Romantik”, un “Romanticismo d’acciaio” per descrivere l’anima del movimento nazionalsocialista e che si può sintetizzare come «eine Verschmelzung von Mythen, Natur- und Heimatliebe mit Fortschrittlichkeit und Technikbegeisterung» («una fusione di miti, amore per la natura e la patria con senso del progresso ed entusiasmo per la tecnologia»). Goebbels si dimostra del tutto cosciente del fossato che separa il Nazionalsocialismo dell’eredità romantica, la quale tuttavia continua a permanere e ad animare la sua tendenza anti-illuminista, seppur mutata di orientamento:
«È una sorta di romanticismo d’acciaio, che ha reso di nuovo la vita tedesca degna di essere vissuta, un romanticismo che di fronte alla durezza dell’esistenza non si nasconde né aspira a sottrarsi ad essa in “azzurre lontananze”…».
Gli fa eco Alfred Rosenberg:
«…non deve essere impedita una spinta in avanti: tutt’altro! Un vecchio mondo è sprofondato per sempre; al posto di un romanticismo sognante è entrato in scena un romanticismo d’acciaio» (Blut und Ehre).
L’idea è chiara e si ricollega a ciò che Arthur Moeller van den Bruck aveva indicato con l’espressione «Wiederanküpfung nach vorwärts», “riconnessione in avanti”: redimere il presente, ovvero sottomettere la modernità e il progresso tecnico, intesi qui come dati oggettivi e conclamati, ad una Weltanschauung differente da quella piattamente progressista, cioè dalla visione che, in nome di una logica eudaimonistica, mira a spingere l’uomo fuori dalla storia in una sorta di Eden in cui l’azione umana non avrà più valore né senso perché la “tecnica” sarà chiamata a risolvere da sé ogni problema e ogni tensione. Che poi il Nazionalsocialismo abbia mancato questo scopo e abbia così disatteso la sua «intima grandezza», come ritenne Martin Heidegger, ciò non è motivo sufficiente, in ogni caso, per affermare che esso si sia pensato come fenomeno reazionario e antimoderno.

