di Mikaela Zanzi
In tutte le tradizioni religiose si ritrova la ricerca di una via sapienziale, di una saggezza che orienti la vita: essa può essere tenebrosa, quando manipola, controlla e chiude, oppure luminosa, quando illumina, libera e integra. Secondo la prospettiva sofianica, la vera Sapienza include l’intera esperienza umana, dalla più buia alla più luminosa, senza rassegnarsi a lasciare il male nella sua disperazione, ma cercando di trasformarlo. Come? Il presupposto è che esista un parallelismo profondo fra le due polarità dell’esperienza umana. Due sono i modi di esistere: secondo la carne, cioè vivere seguendo l’istinto di possesso, la difesa armata, il dominio sugli altri; oppure secondo lo Spirito, cioè vivere aperti alla risurrezione, alla pace disarmata, all’Umiltà. Nelle Scritture, Paolo (Romani 8,11-13) ricorda che lo Spirito ci libera dall’obbligo verso la carne e apre la via alla vita nuova. Anche il profeta Zaccaria contrappone il regnare con potere armato al radunare nella pace disarmata, raffigurando l’umile Re vittorioso che viene verso Sion sull’asinello, scioglie e smembra l’impianto bellico e si presenta come un giusto disarmato che instaura una pace indifesa (Za 9,9-10). È un gesto che ribalta la potente impostazione del “Regno” e del dominio: non si nega la possibilità di una gestione della convivenza “da un mare all’altro”, dall’Eufrate ai confini più lontani (cfr Za 9,10), ma si trasformano radicalmente i modi con cui essa si attua. Gesù sembra proseguire e intensificare questa linea quando dice: “Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro” (Mt 11,28). Queste parole hanno un senso prettamente sapienziale: indicano la via della conoscenza. Subito prima, infatti, Egli afferma: “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11,27). Qui si aprono due vie di intendere la conoscenza. Da una parte, c’è la conoscenza che possiede: quella che si conquista con le proprie armi, metodi e strumenti, che si recinta e si difende come un bene privato. È una conoscenza che si “arma” per mantenerne il controllo, trasformandosi in potere. Dall’altra, c’è la Conoscenza che si riceve: un dono inatteso, che non può essere acquisito con mezzi di appropriazione, ma solo accolto. È la conoscenza che nasce dalla disponibilità, dall’apertura, dalla recettività, dalla capacità di accogliere senza possedere. Si potrebbe così dire che esistono due forme di saggezza. La saggezza di chi sa: strutturata, metodica, sicura delle proprie acquisizioni, ma anche esposta al rischio di irrigidirsi e chiudersi. La Saggezza di chi cerca: in cammino, curiosa, sempre aperta a esplorare, attenta a ciò che ha ricevuto e a ciò che potrà ancora accogliere. Una saggezza del metodo e una Saggezza dell’intento; una che custodisce e difende il contenuto acquisito, e una che, invece, si lascia guidare dalla relazione e dalla rivelazione. È in questo intreccio, tra il sapere e il cercare, tra il possedere e il ricevere, che si gioca la differenza fra la saggezza “armata” e la Saggezza “disarmata”, fra la conoscenza che domina e quella che serve, fra il potere che si impone e l’Amore che si dona.

