di Luca Rudra Vincenzini
“Coloro che sono stati afflitti da un qualche demone sono scossi da tremore (kṣobha, fremiti di purificazione) quando sono al cospetto di un maestro che risplende dei raggi (marīci) dei mantra… si può sentire la loro potenza e, per mezzo di essi, avvertire śakti-nipāta (una cascata di Grazia)”, Tantrāloka, Abhinavagupta.
I mantra posseggono 6 funzioni (ṣaṭ-aṅga), li vedremo nel prossimo corso online (cfr. Haṃsopaniṣad), e la loro ripetizione si colloca a pieno titolo nel mezzo minimale (āṇavopāya) del Mālinīvijayottaratantram, sono ritenuti necessari per raggiungere mokṣa. Ebbene i mantra consunstanziati di vibrante coscienza codificata, quindi provvisti di programmazione interna (icchā) che li lega direttamente alle divinità (i bīja nello specifico sono le varie divinità in forma sonora con annessi poteri), se vengono ripetuti su base giornaliera permeano la mente, il corpo grossolano (sthūla-śarīra) e quello sottile (sūkṣma-śarīra) del praticante. Quando l’intero sistema è saturo, le vibrazioni della coscienza, secondo i Tantra, si irradiano attorno al corpo fisico come raggi, “marchiando” ciò con cui entrano in contatto. Chi è stato in presenza di un siddha non ha alcun dubbio in merito. I raggi di un siddha elargiscono e contagiano con lo stato beatifico della sua realizzazione meditativa (svabhāva), ma se si è ostili verso di un tale essere i raggi benefici si trasformano nelle frecce di Rudra. Portare rispetto, oltre ad essere un riconoscimento dello stato di assorbimento, conviene e da il metro del giusto livello di umiltà che un praticante dovrebbe possedere. Invece oggi gli insegnanti di yoga sono tutto fuorché umili, si atteggiano come fossero divi…

