di Zela Santi
18 Agosto 2025
L’Europa sostiene Kiev ma senza una strategia chiara. Manca consenso interno, pesano i costi economici e il rischio nucleare russo. Una vittoria militare appare irrealistica: senza negoziati, il conflitto rischia di trasformarsi in una guerra senza fine.
Ucraina, Europa e il dilemma strategico: un conflitto senza via d’uscita?
Sulla guerra in Ucraina continuano ad accumularsi parole, appelli e prese di posizione, spesso intrise di retorica e riferimenti ai grandi principi della democrazia occidentale. Tuttavia, dietro questo rumore di fondo emerge una sensazione di smarrimento: manca una strategia condivisa, una linea capace di andare oltre la semplice condanna dell’aggressione russa e il sostegno formale a Kiev.
L’assenza di un’alternativa concreta alimenta sia la frustrazione che la crescente percezione di trovarsi di fronte a un vicolo cieco.
Le aperture di Donald Trump a un possibile negoziato con Mosca hanno riacceso un dibattito carico di diffidenze e polemiche. Chi critica questa impostazione non propone però un percorso realmente praticabile: il rifiuto netto di qualsiasi concessione territoriale alla Russia appare granitico, ma altrettanto incerta è la volontà di discutere l’esclusione dell’Ucraina dalla NATO, tema che resta un tabù nelle capitali europee.
Eppure la questione centrale rimane una: è davvero sostenibile l’idea di proseguire il conflitto senza limiti temporali e senza obiettivi realistici?
L’Europa tra ipocrisia e paralisi politica
Molti governi europei si trincerano dietro dichiarazioni di principio, ma faticano a tradurle in scelte operative. I cosiddetti “volenterosi” continuana a lanciare proclami generici dai toni bellicosi, si dicono disposti a inviare truppe per mantenere la pace dopo ilc essate il fuoco. tutte condizioni irrealistiche. Come dire che se l’Ucraina non entra nella Nato sarà la Nato ad entare in Ucraina. Con le consequenze facili da immaginare.
L’Italia, invece, sembra limitarsi a seguire le direttive di Washington senza sviluppare una posizione autonoma. In teoria, il sostegno alla resistenza ucraina rientra pienamente nel quadro del diritto internazionale; nella pratica, tuttavia, non appare affatto chiaro se l’Europa sia disposta a portare avanti una guerra che non gode di alcun sostegno popolarre.
Al di là della retorica, il nodo centrale è l’assenza di consenso. L’opinione pubblica europea non mostra entusiasmo per un conflitto che rischia di trasformarsi in una guerra di logoramento indefinita. Le ragioni di questo scetticismo sono molteplici: dalla percezione di lontananza geografica e culturale del conflitto, fino alla consapevolezza che i costi economici della guerra ricadono direttamente sul benessere dei cittadini.
C’è poi un problema strutturale: chi dovrebbe combattere questa guerra? Finora gli Stati europei hanno contribuito soprattutto con forniture di armi e aiuti finanziari, lasciando agli ucraini l’onere della battaglia sul campo. Ma un salto di qualità – che comporti l’impegno diretto degli eserciti europei – sembra improbabile, se non addirittura impensabile.
A complicare il quadro, resta la minaccia implicita dell’arsenale nucleare russo. È realistico immaginare che Mosca accetti passivamente la perdita di territori simbolici come la Crimea senza reagire con misure estreme? La domanda resta senza risposta, e proprio questa incertezza contribuisce a frenare qualsiasi ipotesi di escalation occidentale.
La frustrazione degli “irrealisti” e il rischio di una resa dei conti
Chi sostiene la causa ucraina con maggiore fervore si trova oggi di fronte a un paradosso: le speranze iniziali di infliggere una sconfitta strategica alla Russia si scontrano con una realtà molto più complessa. Le linee del fronte lentamente si muovono inesorabilmente a scapito di Kiev, la capacità di resistenza di Mosca appare sottovalutata e l’unità dell’Occidente scricchiola.
Questa situazione produce una duplice reazione: da un lato la rabbia per l’impossibilità di trasformare i proclami in risultati concreti; dall’altro una sorta di rassegnazione silenziosa, che si manifesta nella retorica dell’“inevitabile prosecuzione” del conflitto. Ma questa prosecuzione, se non accompagnata da obiettivi chiari e da una strategia credibile, rischia di tradursi in un logoramento che né l’Ucraina né l’Europa possono sostenere a lungo. Il tempo invece è un prezioso alleato di Putin.
La conclusione che molti evitano di pronunciare apertamente è che una vittoria militare sulla Russia è improbabile, se non impossibile. La stessa sopravvivenza dell’Ucraina come Stato indipendente dipende non tanto dalla capacità di riconquistare ogni centimetro del territorio perduto, quanto dalla possibilità di fermare le ostilità prima che la guerra divori ulteriormente vite umane e risorse.
L’idea di un negoziato, per quanto scomoda, che comunque produrrà elementi di instabilità e delusione in alcune frange, rappresenta l’unica via per salvaguardare ciò che resta dell’integrità ucraina e per ridare stabilità al continente. Continuare a rinviare questa discussione significa, nei fatti, accettare che il conflitto si prolunghi indefinitamente, con costi crescenti per tutti gli attori coinvolti.
Dunque, la questione non è più soltanto “chi ha ragione” sul piano dei principi, ma se l’Europa sia pronta a trarre le conseguenze delle proprie scelte. Senza una strategia chiara, il rischio è che la guerra in Ucraina si trasformi in un conflitto eterno, combattuto a metà tra illusioni e ipocrisie, in cui a pagare il prezzo più alto saranno sempre gli stessi: i cittadini ucraini ed europei.
Tratto da: Kultur Jam

