di Marquez
17 Agosto 2025
Le guerre in Ucraina e Gaza rivelano la doppia morale dell’Occidente: diritti e democrazia invocati contro Mosca, ma ignorati davanti ai crimini israeliani. Un cortocircuito che mina la credibilità euro-atlantica e alimenta accuse di ipocrisia globale.
Gaza e Ucraina: l’Occidente tradisce i suoi stessi principi (teorici)
Il vertice in Alaska tra Donald Trump e Vladimir Putin ha suscitato reazioni contrastanti a livello internazionale. Da un lato, i sostenitori di un approccio pragmatico hanno salutato l’incontro come un’occasione per riaprire il dialogo tra Washington e Mosca, dopo anni di tensioni e sanzioni. Dall’altro, molti osservatori hanno letto il vertice come un segnale di debolezza dell’Occidente, incapace di mantenere una linea coerente contro l’aggressione russa in Ucraina. Le immagini di cordialità tra i due leader hanno rafforzato la percezione di un blocco euro-atlantico diviso e in crisi di identità, aggravata dal silenzio e dalle contraddizioni esplose sul fronte di Gaza.
Quando è esplosa la crisi neli territori palestinesi occupati, era prevedibile che avrebbe avuto ripercussioni anche sul fronte ucraino. La concatenazione di due conflitti tanto diversi, ma entrambi posti al centro della retorica occidentale, ha prodotto un effetto dirompente sull’immagine del cosiddetto blocco euro-atlantico.
Se l’invasione russa dell’Ucraina era stata raccontata come il terreno di scontro tra democrazia e autoritarismo, con la formula esemplificatrice dell’aggredito e l’aggressore, Gaza ha ribaltato lo schema: i principi universali invocati contro Mosca sono stati messi da parte nel momento in cui a violarli è stato Israele, alleato strategico di Washington e Bruxelles.
Il doppio standard è evidente nel rapporto con la Corte penale internazionale. Quando la CPI ha emesso il mandato d’arresto contro Vladimir Putin, molte capitali occidentali hanno salutato la decisione come prova della forza del diritto internazionale e della difesa dei civili. La stessa fiducia si è dissolta quando i procuratori dell’Aia hanno chiesto misure analoghe nei confronti di Benjamin Netanyahu: è partita una campagna politica e mediatica di delegittimazione, con Washington in testa, fino alla minaccia di sanzioni contro giudici e funzionari. Così l’istituzione celebrata come arbitro imparziale è stata ridotta a variabile geopolitica, sacrificata alle convenienze del momento.
In questo slittamento si colloca il paradosso che molti osservatori avevano già intravisto: la credibilità morale del fronte occidentale non regge alla prova dei fatti quando le regole cambiano in base al contesto geopolitico. Il risultato è un logoramento della fiducia, non solo nel Sud globale ma anche tra segmenti di opinione pubblica in Europa e Nord America che pure avevano sostenuto Kiev con convinzione.
La contraddizione degli intellettuali e la doppia morale occidentale
Una parte significativa del dibattito riguarda il ruolo degli intellettuali e delle élite mediatiche. Spesso pronti a denunciare le manipolazioni del Cremlino, molti di loro hanno adottato nei confronti del conflitto mediorientale un atteggiamento opposto, quasi a giustificare o minimizzare la devastazione prodotta dall’offensiva israeliana. Un conformismo che risponde tanto al timore di perdere credibilità quanto al rischio di finire nel mirino di campagne di linciaggio digitale.
Così, nel discorso pubblico si sono create due misure opposte: severità assoluta verso Mosca, (il Severgnini che parlava dei russi da fermare sennò sarebbero arrivati a Lisbona…) indulgenza verso Tel Aviv ( Paolo Mieli: “Non sappiamo se a bloccare gli aiuti umanitari è Israele”).
Il cortocircuito appare ancor più evidente nel momento in cui l’Ucraina, sul piano militare, fatica a mantenere le proprie posizioni, mentre Israele rivendica successi tattici ma accumula un costo umano e reputazionale enorme. L’Occidente, che a Kiev parla di democrazia e diritti, a Gaza tollera massacri di civili, e questa discrasia non può non incrinare la narrazione dominante.
A rendere ancora più evidente la contraddizione è il sostegno di numerosi attivisti filo-ucraini alla politica israeliana. Da qui nasce un interrogativo cruciale: quale fosse, in realtà, la natura dello scontro con Putin. Si combatteva davvero per principi universali di libertà e giustizia, oppure per una scelta geopolitica selettiva, legata a logiche etno-nazionaliste?
In quest’ottica, l’Ucraina veniva idealizzata come avamposto di una “civiltà bianca” e superiore, contrapposta a un avversario rappresentato secondo stereotipi asiatici e barbari, riproponendo categorie di esclusione che nulla hanno a che vedere con l’universalismo invocato a parole.
Gaza come banco di prova della “superiorità morale”
I dati ufficiali delle Nazioni Unite mostrano un divario impressionante tra le vittime civili in Ucraina e quelle a Gaza, soprattutto tra i bambini. Un fatto che mina radicalmente la pretesa occidentale di incarnare un modello etico superiore. Già in molti settori del Sud del mondo la guerra in Ucraina non veniva percepita come un conflitto di civiltà, ma piuttosto come una disputa interna al Nord globale. Oggi, con Gaza sotto assedio, questa percezione si sta diffondendo anche in ambienti europei e nordamericani più sensibili ai temi dei diritti umani.
La contraddizione diventa ancor più evidente se si osserva la crescita dell’estrema destra nel continente europeo: movimenti che difendono la memoria di regimi autoritari del passato e che, nondimeno, vengono assorbiti dentro l’alleanza pro-Kiev. Il riarmo spinto da Washington, unito alla normalizzazione di simboli e slogan riconducibili al nazionalismo radicale, dà l’immagine di un blocco occidentale che difende la democrazia a parole ma la tradisce nei fatti.
Per milioni di persone, dunque, il sostegno all’Ucraina si identifica sempre più con il sostegno a un blocco geopolitico che avalla l’espansionismo israeliano in Medio Oriente. L’effetto è devastante: il fronte euro-atlantico non appare come il difensore della libertà, ma come una macchina ipocrita, in declino, pronta a giustificare qualunque violenza se compiuta da un alleato strategico.
Se l’Occidente non riuscirà a superare questa contraddizione, rischia di perdere definitivamente la sua battaglia sul piano simbolico e morale.
La guerra in Ucraina e quella a Gaza, pur così diverse, hanno rivelato lo stesso problema: l’incapacità di applicare principi universali senza piegarli alle convenienze del momento. E in politica internazionale, la perdita di credibilità può pesare quanto una sconfitta militare.
Tratto da: Kultur Jam

