di Luca Rudra Vincenzini
“Ajñānaṃ kena jāyate kenāpi na jāyate anādiḥ”,”l’ignoranza (ajñānam) da dove (kena) sorge (jāyate)? Non nasce (na jāyate) da qualcosa/qualcuno (kenāpi) [perché è] senza inizio (anādiḥ)”, Ātmānātmavivekaḥ, Sadaśiva Brahmendra (Rudra).
La posizione in oggetto, tipica dell’Advaita Vedānta, presentando la realtà come miraggio (mithyā), o sogno del Brahman, ha difficoltà a vedere sia il potere illusorio della manifestazione (māyā) sia l’ignoranza dell’essere umano (avidyā) come aspetti integrati dell’Assoluto stesso.
Per Adi Śaṅkara, māyā è anirvacanīya (indicibile), non è autonoma ma neanche ammessa come funzione del Brahman (come invece avviene nello Śivaismo del Kāśmīr), ergo? Nun se sape!
Per Sureśvara, similmente a Śaṅkara, māyā non è una śakti distinta; Bhāmatī la collega al jīva, quindi è un decadimento dell’essere umano; Vivaraṇa la collega a Īśvara, ergo la appiccica al demiurgo (saguṇa) per salvare l’Assoluto (nirguṇa); Vācaspati Miśra, infine, similmente a Vivaraṇa distingue tra un Assoluto “coinvolto” con māyā (demiurgo) e uno oltre la māyā (Brahman). Essa è ritenuta essere un “vincolo”, quindi declassata perché né un principio autonomo né una funzione libera dell’Assoluto. Ciò avviene probabilmente o per motivi di ordine morale (difficoltà di accettare il cosiddetto male come parte integrata del Brahman) o per paura di distanziare māyā troppo da esso tanto da farla essere un principio coevo (rischio di ritorno al dualismo del primo Sāṃkhya).
Pur rimanendo sostanzialmente d’accordo sull’indicibilità (anirvacanīya) śaṅkariana, mutuata in parte dal Buddhismo, lo Śivaismo del Kāśmīr fa un passo enorme e taglia ogni indugio: il monismo assoluto (meglio chiamarlo non dualismo assoluto per giustificare anche l’esistenza della creazione) accetta che tutte le variabili sono l’Uno, anche le più bieche e disdicevoli.
Questo viene afferrato dalla mente umana non se approccia la quaestio da un punto di vista morale, bensì logico/metafisico. La libertà della Coscienza Universale la “obbliga” ad essere tutte le variabili, anche quelle che sono “contro gli esseri umani”. L’universo è,
sostanzialmente, misteriosamente, irrimediabilmente, sovramorale. La moralità regola, premia e punisce, solo la vita delle creature, quindi nonostante l’universo non abbia regole di tipo morale, l’essere umano per paradosso non può essere libero se non le segue. A questo punto si potrebbe obiettare che non è vero e che il Tantraśaiva le sfida le regole morali e non le rispetta. Ebbene ciò è vero solo in parte, il non dualismo creò appositamente, su eredità dello Śaivasiddhānta, tutta una serie di regole rituali per far sì che potessero proteggere i praticanti dall’ira degli Dèi, dal karma e dalla furia dell’ordine cosmico (dharma) nelle trasgressioni ritualizzate, se poi la cosa funzionasse davvero questa è un’altra storia. Ogni volta che trasgredisci, facci caso a come te la canti per giustificare il fatto che ciò che fai non è poi così strano. Sii onesto/a fino in fondo!
Per come la vedo io, questo gioco cosmico è voluto da un demiurgo intermedio, quando “Lui/Lei” sarà libero/a, questo gioco creazionistico si concluderà definitivamente nella contemplazione dell’Assoluto che lo/la sovrasta.

