di Lelio Antonio Deganutti
Il vero saggio porta sempre con sé una finestra di melanconia. Non è la tristezza sterile che consuma, ma una tensione interiore verso il mondo trascendente, un’inquietudine sacra che nasce dal sentirsi straniero in un mondo che appartiene alla tenebra. L’anima antica, consapevole della propria origine luminosa, non potrà mai essere del tutto confacente al mondo terreno: essa riconosce la caducità delle forme e aspira a una patria invisibile.
Questa consapevolezza, velata di melanconia, si ritrova nelle parole e negli insegnamenti dei grandi iniziati moderni.
Kremmerz: la malinconia come segno dell’anima iniziatica
Giuliano Kremmerz, nell’ambito della Schola Philosophica Hermetica, considerava la malinconia non come malattia, ma come vibrazione sottile dell’anima che percepisce l’inadeguatezza della vita profana. È il sentimento che accompagna l’uomo quando intuisce che la vera realtà è oltre il velo, e che la missione dell’iniziato è trasformare il dolore in forza magica, la nostalgia in volontà. La melanconia diventa così una soglia iniziatica: chi la attraversa impara a trarre energia dalla distanza tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere.
Papus: la nostalgia dell’assoluto
Papus (Gérard Encausse), medico ed esoterista, vedeva nella malinconia del saggio un riflesso della “nostalgia dell’assoluto”. Per lui, l’uomo non appartiene interamente al piano materiale: porta in sé l’impronta dell’eterno. La malinconia è la ferita che ricorda la sua origine divina. Non è dunque un limite, ma un richiamo costante a volgere lo sguardo verso l’alto, a riconoscere che ogni costruzione terrena è solo preparazione a un edificio spirituale.
Éliphas Lévi: l’ombra come rivelazione della luce
Éliphas Lévi, mago e pensatore, parlava spesso della duplicità di luce e tenebra. Per lui, la malinconia non era che l’effetto dell’ombra proiettata dalla luce dello spirito sull’anima incarnata. Il saggio, consapevole di vivere nel regno del riflesso e non della sostanza, prova malinconia perché conosce il vero sole ma deve camminare tra ombre. La sua missione non è fuggire, ma trasmutare: scoprire il divino anche nella materia, riconciliando gli opposti.
Stanislas de Guaita: la malinconia come segno di nobiltà interiore
De Guaita, poeta e occultista, univa estetica e spiritualità. Per lui, la malinconia del saggio è la traccia di una nobiltà interiore: l’anima che ha conosciuto mondi superiori non può più adattarsi completamente a un universo degradato. Ma proprio questo dolore diventa stimolo alla creazione poetica, all’opera ermetica, alla costruzione di ponti fra cielo e terra. È la melanconia che spinge a cercare il Graal invisibile e a non smarrirsi nell’illusione del potere terreno.
Tratto da: La Voce dell’Essere

