di Giorgio Cattaneo
02 Settembre 2025
La più grande democrazia del pianeta (l’India: un miliardo e mezzo di esseri umani) ha deciso di schierarsi con Cina e Russia. Notevole l’enfasi con cui il vertice mondiale di Tianjin ha incorniciato il premier Modi accanto all’imperatore Xi Jinping e a Vladimir Putin, detestato dal vecchio mainstream occidentale perché palesemente impermeabile a minacce e lusinghe (e quel che è peggio, sostenuto dalla stragrande maggioranza dei russi). Tutto questo, mentre gli Stati Uniti annaspano in modo allarmante, avendo sfondato il tetto dei 30.000 miliardi di debito estero: una voragine non facilmente colmabile, finora scaricata sulle spalle dei paesi produttivi. Tempi duri: Donald Trump si smarca dagli eurocrati anglo-franco-teutonici ancora impantanati in Ucraina, ma non riesce a frenare la spaventosa barbarie che, a Gaza, sta ormai facendo inorridire il mondo intero.
Secondo vari analisti, il potere occidentale è gravemente spaccato: da una parte i tenaci cascami dell’ex Impero Britannico di marca Rothschild, oggi egemone quasi solo sull’Europa (ma ancora saldamente padrone dei santuari della finanza), e dall’altra l’America trumpiana, desiderosa di rompere il vecchio schema del dominio imperiale, verso una governance aperta a forme di coesistenza pacifica. Alla possibile scorciatoia rappresentata dal feeling tra Casa Bianca e Cremlino, Mosca sembra rispondere anche consolidando il respiro strategico delle sue alleanze a Oriente, dopo che l’Occidente – come ribadito anche nel summit cinese – ha continuamente cospirato contro la Russia, giungendo ad assediarla anche sul terreno geopolitico nella speranza di un “regime change” (e ottenendo invece il risultato opposto: il rafforzamento del potere personale di Putin).
Così, nonostante tra i suoi membri figurino anche rinomate dittature, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai oggi dichiara di sostenere «il diritto dei popoli a scegliere in modo indipendente e democratico i propri percorsi di sviluppo politico e socio-economico». Cina, Russia, India (e i loro alleati, 20 paesi: quasi metà della popolazione mondiale, oltre un terzo del Pil del pianeta) fanno notare che «i principi di rispetto reciproco per la sovranità, l’indipendenza, l’integrità territoriale, l’uguaglianza, il mutuo vantaggio, la non ingerenza negli affari interni e la non minaccia o uso della forza sono la base di uno sviluppo sostenibile delle relazioni internazionali». In altre parole: si vorrebbe far finire in soffitta il classico suprematismo degli “esportatori di democrazia”, che negli ultimi decenni hanno terremotato Iraq e Afghanistan, passando per Libia, Siria, Iran, Libano, Yemen, Sudan, Ucraina e Palestina.
«Ci opponiamo all’egemonismo e alla politica della forza», ha annunciato Xi Jinping, leader di un impero autoritario dove basta una semplice protesta per finire in carcere. Il guaio è che l’Occidente, ormai imbarazzante, può essere agevolmente attaccato anche dalla retorica di regimi apertamente dispotici. A Tianjin, i paesi della Sco hanno avuto buon gioco nel condannare l’attacco occidentale contro l’Iran degli ayatollah e la scandalosa macelleria condotta nei confronti della popolazione civile di Gaza. Macro-tema, sullo sfondo: l’altolà che gli Usa (in declino?) pretenderebbero di imporre alla potenza industriale e commerciale cinese, dopo aver – proprio loro – truccato le carte dell’export internazionale per favorire Pechino e fare del colosso post-comunista la grande manifattura del mondo, creando un modello capace di coniugare benessere economico e totale assenza di libertà e democrazia.
Quello stesso modello, in salsa sanitaria e targato Wuhan, si era purtroppo affermato nel 2020 sotto l’egida di una Oms guidata da un tristo personaggio sponsorizzato proprio dalla Cina, evidentemente fattasi strumento di poteri oscuri. Questa lettura – gli Stati come burattini manovrati dall’Ombra – investe formali antagonismi come quelli che oppongono Israele ad Hamas o all’Iran. Opposti estremismi: ai tempi della guerra fredda, il business degli armamenti prosperava grazie al vicendevole sovrastimare la potenza avversaria (bugie lucrosissime, visti gli incrementi dei budget militari, sia in dollari che in rubli). All’epoca, se non altro, era ancora in piedi un confronto ideologico epocale, tra capitalismo e comunismo. Spentasi quella disputa, per rimpiazzarla è stato inventato di sana pianta lo “scontro di civiltà”, su base religiosa. I detentori del copyright? Sempre gli stessi: gli 007 di Sua Maestà, veri padrini occulti dei Fratelli Musulmani.
A ricordarlo è un analista come Fausto Carotenuto, già in forza all’intelligence Nato e con vasta esperienza sul campo, avendo vissuto per anni a Teheran. Carotenuto insiste proprio sul carattere artificioso dei maggiori scontri in corso, in realtà organizzati di comune accordo e dalla medesima regia: dietro a Netanyahu, ad Hamas e agli imam iraniani – sostiene – c’è lo zampino dello stesso potere oscuro, il medesimo impresario del terrore. Lo ha ribadito anche il filo-israeliano Gioele Magaldi, nel condannare la tacita smilitarizzazione del confine con Gaza alla vigilia del 7 ottobre 2023: anche se ovviamente non lo ammetterebbero mai – afferma l’autore del bestseller “Massoni” – spesso i nemici dichiarati collaborano sottobanco. «Il Mossad e i servizi segreti dell’Iran sono giunti persino a condurre operazioni congiunte, in nome di interessi inconfessabili tra i due paesi».
L’atroce morte senza anestesia ora inflitta alla popolazione di Gaza sembra l’atto finale di una storia dolorosamente sbagliata fin dall’inizio, proseguita tra mille storture e atti di eroismo da entrambe le parti, a valle di un cinico calcolo iniziale di stampo coloniale, soprattutto britannico. Fino a ieri, un’esigua élite (bianca, di origine europea) ha preteso di dettare le sue condizioni al resto del mondo. Proprio Magaldi, nel suo grande libro sul potere massonico mondiale, ha svelato che quella élite si è fatta cosmopolita, inglobando anche cinesi, slavi, arabi e africani, e sviluppando pure una crescente conflittualità interna. Alla filiera autoritaria, quella del clan Bush e dell’11 Settembre (il terrorismo come instrumentum regni, fino all’Isis) avrebbe risposto la controparte “democratico-progressista”, portando alla Casa Bianca il “fratello” Donald Trump, chiamato a misurarsi con il “fratello” Vladimir Putin, storicamente associato alla superloggia Golden Eurasia dai tempi della Germania Est insieme alla “sorella” Angela Merkel.
Da una parte gli Stati Uniti, dall’altra i Brics e i colossi della Sco guidati da Cina, India e Russia? Verrebbe da domandarsi come mappare opportunamente il reticolo di consorterie non visibili che, a quanto sembra, si nascondono dietro le rispettive bandiere. Chi sono, davvero, i reali playmaker? E dove vogliono andare? In ogni caso, lo stesso profilo visibile degli eventi non passa certo inosservato: se l’Occidente balbetta, il resto del mondo alza la voce e prenota un posto importante, nella prossima storia del pianeta. Grande esclusa, l’Europa: ormai irrilevante, patetica e pericolosamente velenosa, dominata da micro-oligarchie governative invise ai loro stessi elettori. Sarà presto travolto e rottamato, anche grazie a Trump, l’establishment eurocratico che cerca la guerra a tutti i costi? E soprattutto: da questa palude mortifera si potrà uscire risorgendo, finalmente con vere idee politiche, senza dover per forza passare dalla tragedia collettiva del grande conflitto a cui si aggrappano i tiranni che temono di essere disarcionati?

