di Alexandro Sabetti
9 Settembre 2025
L’UE spende 80 milioni l’anno per media e progetti giornalistici, mentre Israele investe milioni in propaganda digitale per minimizzare la crisi a Gaza. Tra fondi pubblici e Big Tech, l’informazione si trasforma sempre più in strumento di potere e controllo.
L’Europa e i finanziamenti alla stampa: sostegno o condizionamento?
Secondo un’inchiesta del Berliner Zeitung, l’Unione Europea ha erogato oltre 600.000 euro all’OCCRP (Organized Crime and Corruption Reporting Project) a partire da novembre 2024, nell’ambito del progetto NEXT-IJ, ufficialmente per “rafforzare” il giornalismo investigativo.
La Commissione Europea ha ribadito la trasparenza di tali sovvenzioni, sottolineando che sono vincolate a standard rigorosi. Tuttavia, molti osservatori sottolineano il rischio che simili finanziamenti possano in realtà condizionare l’indipendenza delle redazioni.
Non è la prima volta che la questione viene sollevata. Lo studio di Thomas Fazi, Brussels’s Media Machine, ha documentato come Bruxelles spenda circa 80 milioni di euro l’anno in progetti mediatici, quasi 1 miliardo nel decennio passato.
La finalità dichiarata è promuovere pluralismo e lotta alla disinformazione. Ma i critici vedono un obiettivo diverso: influenzare l’opinione pubblica e marginalizzare le voci contrarie all’agenda comunitaria.
Esempi non mancano. Programmi come IMREG (40 milioni dal 2017), Journalism Partnerships (50 milioni dal 2021), Multimedia Actions (20 milioni annui) e l’European Digital Media Observatory (27 milioni) hanno finanziato media e agenzie pubbliche. Anche il Parlamento europeo ha stanziato circa 30 milioni dal 2020 per iniziative simili. In molti si chiedono se questo sostegno si traduca, nei fatti, in un controllo del discorso pubblico.
OCCRP e le ombre sul finanziamento
L’OCCRP gode di grande prestigio per le inchieste sui Panama Papers e sull’Azerbaijan Laundromat. Tuttavia, le fonti dei suoi fondi restano controverse. In passato, gran parte dei finanziamenti proveniva da USAID, l’agenzia statunitense per lo sviluppo, con circa 11 milioni di dollari (5,7 direttamente da USAID).
Secondo rivelazioni giornalistiche, funzionari americani avrebbero influenzato decisioni editoriali e di personale. Il flusso si è interrotto sotto l’amministrazione Trump, ma il nodo resta: può un giornalismo dipendente da fondi governativi mantenere una reale indipendenza?
Il tema è diventato ancora più delicato dopo le accuse di Petr Bystron, eurodeputato di AfD, che ha denunciato la presunta manipolazione delle elezioni europee da parte di media beneficiari dei fondi UE. Le accuse arrivano però da un personaggio a sua volta sotto indagine per corruzione e riciclaggio, il che rende il quadro ancora più ambiguo.
Israele e la propaganda digitale su Gaza
Parallelamente, il Drop Site News ha rivelato l’esistenza di una vasta campagna di propaganda digitale promossa dal governo israeliano per minimizzare la crisi umanitaria a Gaza. Secondo i documenti, il ministero degli Esteri di Tel Aviv avrebbe speso 45 milioni di dollari in pubblicità su Google, YouTube e Display & Video 360, attraverso l’agenzia statale Lapam.
L’operazione, avviata poche ore dopo l’annuncio del blocco totale di cibo e aiuti a Gaza il 2 marzo 2025, non è stata volta a discutere le conseguenze della misura, ma a gestire la percezione internazionale. Un video ministeriale, visto oltre 6 milioni di volte, sosteneva che “non c’è fame” a Gaza, bollando come menzogne le denunce di crisi alimentare.
Accanto a Google, Israele ha speso altri 3 milioni di dollari in campagne su X (ex Twitter) e 2,1 milioni tramite Outbrain e Teads. L’obiettivo: costruire un racconto parallelo, volto a ridimensionare il dramma umanitario.
Una narrazione in conflitto con i dati sul terreno
La realtà descritta dalle autorità israeliane stride con i numeri forniti dal ministero della Salute di Gaza: almeno 367 palestinesi morti per fame e malnutrizione dall’inizio del conflitto, tra cui 131 bambini. Un dato che smentisce in modo drammatico la retorica digitale.
Il caso rivela una dinamica più ampia: governi e istituzioni sovranazionali che utilizzano finanziamenti e campagne mediatiche per orientare le opinioni, spesso nel nome della “lotta alla disinformazione” o della difesa della sicurezza nazionale. Ciò solleva interrogativi sulla libertà dell’informazione e sulla capacità dei cittadini di formarsi un’opinione autonoma in un ecosistema dominato da capitali pubblici e partnership con Big Tech.
La combinazione tra i fondi europei alla stampa e la propaganda digitale israeliana mostra come, nel mondo contemporaneo, l’informazione diventi campo di battaglia geopolitico. E mentre le istituzioni rivendicano la trasparenza, la fiducia dell’opinione pubblica rischia di sgretolarsi di fronte all’ombra delle ingerenze.
Tratto da: Kultur Jam

