di Andrea Muratore
16 Settembre 2025
Israele sta “commettendo un genocidio” nella Striscia di Gaza. Nel giorno in cui Benjamin Netanyahu ordina l’offensiva via terra verso il territorio controllato da Hamas nella parte meridionale della Palestina e in cui, dopo giorni di attacchi e avvertimenti d’evacuazione, il ministro della Difesa Israel Katz giubila dichiarando che “Gaza sta bruciando”, l’affondo più duro delle organizzazioni internazionali viene dalle Nazioni Unite. Per la precisione dall’attiva Commissione internazionale indipendente d’inchiesta delle Nazioni Unite sul territorio palestinese occupato, compresa Gerusalemme Est, e Israele, organo d’indagine che ha esortato in un report Tel Aviv a interrompere “il genocidio in atto” a Gaza.
Un passaggio senza precedenti, perché finora anche il Segretario Generale dell’Onu, Antonio Guterres, pur critico della guerra di Israele in Palestina e dei massacri condotti dall’Israel Defense Force nell’attacco alla Striscia aveva sempre evitato di usare questa parola storicamente tabù: genocidio. Le figure più in vista dell’Onu che hanno accusato di genocidio Israele sono state al massimo al livello di relatore speciale, come è successo per l’italiana Francesca Albanese che però non dirige formalmente alcuna struttura né ricopre cariche di inviata speciale del Palazzo di Vetro.
Le denunce di Albanese, per quanto coraggiose, sono riferibili in virtù della sua mansione a una presa di posizione personale. Ben altro peso ha, invece, l’odierna dichiarazione, che porta la firma di una struttura legata all’Onu, che di fatto pubblicandola sottoscrive e certifica il rapporto. Questo è un’importantissima presa di posizione e un fondamentale cambio di paradigma, specie in relazione al fatto che Israele è, di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia, indagata come Stato per la condotta a Gaza, con il Sudafrica sostenuto da diversi Paesi del Sud Globale e dalla Spagna che intende portar le prove per far condannare lo Stato Ebraico.
In punta di diritto, però, anche la conclusione della Commissione d’inchiesta può esser legalmente vincolante. La sua presidente Navi Pillay, giudice sudafricana della Corte Penale Internazionale (da non confondere con la Cig) e già Alta Commissaria delle Nazioni Unite per i Diritti Umani dal 2008 al 2014, lo ha spiegato sul New York Times. La citiamo esplicitamente, il suo commento vale più di mille parafrasi.
Scrive Pillay:
La legge è esplicita: l’obbligo di prevenire il genocidio sorge nel momento in cui si manifesta un rischio grave. Quella soglia è stata superata molto tempo fa in questa guerra. Nel gennaio 2024 la Corte Internazionale di Giustizia ha avvertito tutti gli Stati che esisteva un serio rischio che a Gaza si stesse commettendo un genocidio. Da allora, le prove si sono solo aggravate e le uccisioni si sono moltiplicate.
Di conseguenza, non è solo Israele chiamata in causa. Ai sensi dell’accordo costitutivo delle Nazioni Unite, è vincolata anche l’intera comunità internazionale:
Cosa significa questo per la comunità internazionale? Significa che i suoi obblighi non sono facoltativi. Ogni Stato ha l’obbligo di prevenire il genocidio, ovunque si verifichi. Tale obbligo richiede un’azione: fermare il trasferimento di armi e il supporto militare utilizzati in atti di genocidio, garantire un’assistenza umanitaria senza ostacoli, fermare gli sfollamenti di massa e la distruzione e utilizzare tutti i mezzi diplomatici e legali disponibili per fermare le uccisioni. Non fare nulla non è neutralità. È complicità.
Pillay, che nel suo articolo ricorda anche la sofferenza dei civili israeliani trucidati dai terroristi di Hamas, è una giudice 84enne che è stata molto vicina a Nelson Mandela dopo la fine dell’Apartheid e ha presieduto processi contro molti criminali ruandesi complici e partecipi del genocidio del 1994. Nel suo articolo parla principalmente, dallo scranno del Nyt, agli Usa che proseguono i loro trasferimenti militari a Israele, ma anche all’intero sistema internazionale.
Non ci può essere, insomma, più ambiguità: la condotta di Tel Aviv è giudicata talmente grave da ritenere, agli occhi dell’Onu, una condanna incondizionata. La sentenza della Cig sul caso di genocidio renderà operativi i vincoli di cui parla la giudice. Ogni negligenza e favoritismo a Tel Aviv su Gaza rischierà, in caso di verdetto positivo di portare uno Stato di fronte alla Corte: vale, questo, in particolar modo per i partner occidentali di Tel Aviv. Inoltre, una sentenza in questione aprirebbe a proposte di intervento internazionale per risolvere i problemi nella Striscia.
Chiaramente, ad oggi, ogni strumento di enforcement della pace in Medio Oriente non può non passare dal Consiglio di Sicurezza Onu. Qui, Israele può contare sul veto degli Usa a qualunque risoluzione contraria ed è difficile pensare che, alla luce dell’attacco di Donald Trump e del segretario di Stato Marco Rubio alle istituzioni multilaterali, la situazione possa cambiare. Ma dopo oggi la pressione politica su Tel Aviv e alleati sarà sempre più pesante.
Tratto da: Inside Over

