COLUI CHE VEDE: IL TESTIMONE PRIVO DI COINVOLGIMENTO

di Luca Rudra Vincenzini

“Eko draṣṭāsi sarvasya muktaprāyo’si sarvadā ayameva hi te bandho draṣṭāraṃ paśyasītaram”,”sei (asi) il solo (ekaḥ) vedente (draṣṭā) di tutto (sarvasya) [e] sei (asi) quasi (prāyaḥ) sempre (sarvadā) libero (muktaḥ); ciò (ayaṃ) in verità (hi) [è] il tuo (te) legame (bandha) vedere (paśyasi) il vedente (draṣṭāraṃ) [essere] altro (itaram, nel senso di distinto)”, Aṣṭāvakra-gītā (Rudra).

In questo versetto dell’Aṣṭāvakra-gītā, il termine draṣṭṛ può essere reso come “testimone” oppure come “vedente”, ossia colui che vede. Nella prima accezione di significato è inteso come “colui che osserva” e richiama il concetto di sākṣin (testimone) del Sāṃkhya, nella quale sfumatura si sottolinea il fatto di osservare senza coinvolgimento (sa akṣa, con i suoi propri occhi). Quindi se reso con testimone il senso dello śloka ha un taglio non-duale legato all’idea di distacco: il Sé non si mischia con ciò che è visto ma è comunque a sostrato della realtà.

Traducendo draṣṭṛ con vedente, la frase non si riferisce più al Sé (ossia il testimone) bensì ad ahaṅkāra, l’ego, a kartā, quello che pensa di fare e che si illude di essere il protagonista della scena. In tale ottica il vedente è “a occhi aperti” e vedendo proietta la sua illusione, la sua personalissima māyā su ciò che è (yathābhūta).

Per quale motivo è presente questa sfumatura di significato? Perché il più grande “vedente” di tutti è Śiva stesso. Egli apre gli occhi (unmeṣa) e proietta la realtà (spanda) e poi li chiude (nimeṣa) riassorbendola (pralaya). In questa prospettiva, diametralmente opposta a quella della mistica occidentale, dove aprire gli occhi è vedere con chiarezza e chiuderli è brancolare nella nescienza, il draṣṭā non è colui che vede l’essenza delle cose, bensì il confuso proiettore, ossia colui che proietta sul tutto la sua illusione individuale. Tale ottica interpretativa vede il legame (bandha) come lo stesso atto proiettivo di vedersi/percepirsi (paśyasi) distinto (itaram) dall’unica (ekaḥ) realtà che è Śiva. Un ulteriore tassello dell’analisi è quel: “sei quasi sempre libero”, ovvero sei libero per natura tranne quando ti vedi distinto da Śiva. Ora entrambi i commenti (bhāṣya) ed entrambe le traduzioni sono plausibili, questo è il merito “quantistico” del sanscrito, che ancora una volta ci ricorda che la verità è contemporaneamente tutte le variabili, anche quelle paradossalmente contrapposte, ecco perché nella via d’uscita non-duale da māyā permane il famoso testimone della filosofia duale del Sāṃkhya: il sākṣin non prende parte al gioco delle variabili, bensì le osserva distaccato.

COLUI CHE VEDE: IL TESTIMONE PRIVO DI COINVOLGIMENTO
COLUI CHE VEDE: IL TESTIMONE PRIVO DI COINVOLGIMENTO

Pubblicato da vincenzodimaio

Estremorientalista ermeneutico. Epistemologo Confuciano. Dottore in Scienze Diplomatiche e Internazionali. Consulente allo sviluppo locale. Sociologo onirico. Geometra dei sogni. Grafico assiale. Pittore musicale. Aspirante giornalista. Acrobata squilibrato. Sentierista del vuoto. Ascoltantista silenziatore.

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