LA VITA DEL PROFETA MUHAMMAD

a cura di Etna Da Roma

Nato attorno al 570, Muhammad apparteneva, come la maggior parte dei suoi concittadini, alla nobiltà tribale dei Quraysh, ma la sua famiglia aveva subito dei rovesci finanziari e la sua situazione fu dunque difficile sin dalla nascita. Il padre, Abd Allah, morì prima ancora che lui venisse al mondo, mentre la madre Amina morì quando aveva appena sei anni. Muhammad si trovò così ad affrontare la dura condizione dell’orfano, sotto la tutela dapprima del nonno e poi, alla morte di questi, di uno zio paterno. I lutti familiari e le avversità economiche forgiarono tuttavia il carattere del giovane, portandolo all’introspezione e a garantirgli una solida reputazione di serietà e affidabilità. In città era noto appunto con il soprannome di al-amìn, «il degno di fede», e godeva di una stima pressoché unanime fra gli abitanti di Mecca.

Muhammad iniziò a lavorare per un ricca vedova, Khadija, che dirigeva un’importante impresa commerciale e che ben presto cominciò ad apprezzare le qualità del suo più giovane dipendente. L’offerta di matrimonio che ne seguì in un primo momento lasciò perplesso Muhammad, ma alla fine egli si risolse ad accettare quella proposta, a sua volta attratto dalle qualità della donna.

Il matrimonio fu tra i più felici, e un unico cruccio sembrò oscurare la serenità degli sposi: fra i vari figli che Khadija partorì, solo le femmine sopravvissero, mentre i maschi morirono tutti in tenerissima età; e per la mentalità dell’epoca chi era privo di una discendenza maschile diventava spesso oggetto di scherno e maldicenza, quasi che la mancanza di figli equivalesse ad una mancanza di onore.

Dopo il matrimonio, Muhammad continuò a coltivare l’interesse per le cose spirituali che aveva manifestato sin da giovane. Nei suoi viaggi al seguito delle carovane commerciali che si spingevano sino alla Siria, da tempo egli aveva avuto occasione di imbattersi in un panorama religioso senz’altro più ricco di quello offertogli dalla sua città natale; e in queste occasioni una parte indubbiamente importante dovettero avere alcuni incontri con i monaci cristiani della regione, che la stessa tradizione musulmana ha ricordato in seguito con insistenza nel ricostruire la biografia del giovane Muhammad.

L’episodio più famoso e citato, che risale all’adolescenza del Profeta, vuole che egli sia stato riconosciuto come messaggero divino da un monaco cristiano di nome Bahira (dall’aramaico bekhira, «l’eletto»), che viveva in un eremo presso la città siriana di Bosra. Il monaco, secondo questa storia, avrebbe notato alcuni segni che accompagnavano il giovane e lo avrebbe interrogato sulla sua condizione. L’esame ravvicinato, e soprattutto la scoperta fra le spalle di Muhammad del «sigillo della profezia» (un’escrescenza grande quanto un uovo di pernice), lo convinsero di trovarsi di fronte a colui che Dio aveva promesso di inviare agli uomini dopo Gesù e il cui avvento era stato annunciato con quei segni in antichi manoscritti.

Questo è solo uno fra i numerosi episodi presentati dall’agiografia musulmana come eventi premonitori della nuova rivelazione che stava per verificarsi in Arabia. Molte altre storie ci raccontano di avvenimenti miracolosi che accompagnarono l’infanzia e la gioventù di Muhammad, ma tutte in fondo non fanno che sottolineare un unico tema: egli è predestinato da Dio a svolgere una missione profetica, che si inscrive nel solco della tradizione biblica e che ne sarà l’annunciato compimento. Nonostante il destino che gli si prospetta, la tradizione ci presenta un Muhammad ancora impreparato al momento in cui i segni della profezia si fanno in lui più evidenti.

Giunto attorno ai quarant’anni, spesso ha delle visioni durante il sonno – egli stesso dirà più tardi che il sogno veridico è «un quarantesimo della profezia» – e si dedica a periodici ritiri di meditazione e digiuno. Era solito recarsi a Hira, una montagna poco distante da Mecca, e lì si rifugiava in una grotta per le sue veglie di isolamento spirituale. Fu in quel luogo, in una notte del mese di Ramadan che la tradizione ha invano cercato di precisare, che Muhammad fu visitato per la prima volta dall’angelo.

La caverna di Hira è difficile da raggiungere; ancor oggi i pellegrini che vi fanno visita si inerpicano a fatica su un impervio pendio roccioso, lungo il quale si apre una fenditura lunga e stretta che dà accesso alla grotta, quasi del tutto avvolta dall’oscurità. Fu in quel luogo angusto che Muhammad vide per la prima volta Gabriele, apparsogli sotto le sembianze di un essere vestito di broccato, con uno scritto tra le mani. Muhammad non aveva capito di chi si trattasse, e rimase spaventato da quella visione, tanto più che quell’essere lo strinse fortemente, sino quasi a farlo soffocare, e gli intimò perentoriamente di leggere.

Al diniego del Profeta, che proclamava la sua incapacità di farlo, l’angelo lo strinse una seconda volta e gli ordinò ancora di leggere. A un nuovo rifiuto, la scena si ripeté per la terza volta, ed ecco che delle parole uscirono fluenti dalla bocca di Muhammad:

«Recita nel nome del tuo Signore che ha creato, ha creato l’uomo da un grumo di sangue. Recita. Il tuo Signore è il Generosissimo, ha insegnato l’uso del calamo, ha insegnato all’uomo quel che non sapeva».

Sono queste, secondo la maggioranza dei commentatori tradizionali, le prime parole rivelate del Corano, che nella versione definitiva del testo occupano i primi cinque versetti della sura 96.

Il simbolismo di questo racconto è trasparente e presenta più di un’analogia con un’altra annunciazione, quella di Maria madre di Gesù. In entrambi i casi è l’angelo Gabriele a recare l’inaudito messaggio della discesa del Verbo divino. In entrambi i casi la scena si svolge nel chiuso di un ritiro spirituale, al riparo da ogni interferenza umana. In entrambi i casi l’essere prescelto protesta in un primo momento di essere impossibilitato al compito. Maria, di fronte all’annuncio del concepimento, dichiara la propria verginità fisica; Muhammad oppone un analogo rifiuto a recitare quel Verbo, in quanto la sua condizione di analfabeta gli impedisce di leggere.

Ma il Verbo di Dio può depositarsi solo in una sostanza pura e incontaminata, «vergine» nel corpo o nella mente, e dunque entrambi sono in realtà i più qualificati ad accogliere dentro di sé il peso della rivelazione. Il Verbo fattosi carne si è depositato nel seno di Maria, e lo stesso Verbo fattosi parola si va a imprimere nel cuore di Muhammad.

Il Profeta rimase sconvolto da quel primo incontro con l’angelo. Pensò di essere un invasato, un posseduto, e uscì disperato dalla grotta in preda a una fortissima agitazione. Mentre scendeva dalla montagna, quando era ancora a metà del pendio, udì una voce provenire dall’alto: «O Muhammad, tu sei l’inviato di Dio, e io sono Gabriele».

Incapace di muoversi, guardò verso il cielo, ed ecco che vide Gabriele sotto la forma di un uomo immenso, con i piedi sulla linea dell’orizzonte. Cercò di distogliere lo sguardo da quella visione, si voltò a osservare «tutte le regioni del cielo», ma dovunque appuntasse gli occhi vedeva sempre la stessa figura. Poi l’angelo sparì e Muhammad riuscì a riprendere il cammino verso casa.

La moglie Khadija fu la prima ad ascoltare il racconto di quell’evento straordinario. Si dimostrò risoluta di fronte alle inquietudini del marito, e lo rassicurò dicendogli che doveva provare gioia e non preoccupazione per quanto gli era capitato, perché forse era stato scelto da Dio per qualche missione.

La donna si recò immediatamente da un suo anziano cugino, che era cristiano e conosceva le Sacre Scritture, per raccontargli l’accaduto; il vecchio le confermò che, se le cose erano realmente andate in quel modo, allora suo marito era davvero il nuovo profeta della loro comunità.

Muhammad fu alquanto confortato dal giudizio del cugino di sua moglie, ed ebbe presto occasione di incontrarlo personalmente. Dopo che si furono parlati, il vecchio ribadì la sua convinzione riguardo alla missione profetica, ma predisse anche a Muhammad che avrebbe dovuto affrontare molte avversità, che il suo popolo non gli avrebbe creduto, che lo avrebbero perseguitato e scacciato.

Dopo quel primo episodio, le visioni cessarono per un lungo periodo di tempo, tanto da gettare Muhammad in uno stato di profonda frustrazione; sino a che, molto tempo dopo, la voce dell’angelo tornò a farsi sentire, e in queste nuove rivelazioni c’erano parole di incoraggiamento per lui:

«Grazie a Dio tu non sei un posseduto. Avrai una ricompensa di cui non saprai rendere conto» (68:2-3);

«Il tuo Signore non ti ha abbandonato, non ti ripudia. Per te la vita futura sarà migliore della prima» (93:3-4).

La Rivelazione aveva ripreso a discendere nel cuore di Muhammad, pezzo dopo pezzo, e avrebbe continuato a farlo per tutti i ventitré anni che doveva ancora durare la sua vita terrena, e questo sarebbe avvenuto a intermittenza, con brani più o meno lunghi, ogniqualvolta ve ne sarebbe stato bisogno, ogniqualvolta Muhammad fosse stato sollecitato a dare risposte, a illuminare i suoi fedeli su questioni grandi o piccole.

Ma la parola di Dio poteva anche arrivare all’improvviso, in momenti inattesi, cogliendo il Profeta nelle sue occupazioni quotidiane o nell’intimità della vita familiare.

Gli Arabi del tempo, abituati alle scritture degli ebrei e dei cristiani contenute in veri e propri libri o rotoli dall’aspetto solenne, rimanevano sconcertati da quest’idea di una rivelazione che si manifestava a poco a poco, che veniva appresa a memoria e trasmessa di bocca in bocca, che talvolta veniva sì registrata per iscritto, ma in modo non sistematico e su materiali di fortuna.

Ma Dio stesso rispose con le Sue parole a quelle obiezioni: «Anche se facessimo discendere su di te un libro fatto di pergamena ed essi lo toccassero con le mani, i miscredenti direbbero: «Questa non è che magia manifesta» (6:7).

In realtà, ci rivela lo stesso Corano, dietro questo modo insolito di produrre un «libro» si cela una saggezza che gli uomini comuni non riescono a cogliere:

«È una recitazione che abbiamo diviso in parti affinché tu la recitassi agli uomini lentamente, l’abbiamo fatta discendere rivelazione dopo rivelazione» (17:106).

E ancora: «I miscredenti dicono: “Almeno il Corano gli fosse stato rivelato tutto insieme, in una volta sola”. Ma Noi lo abbiamo rivelato in questo modo per fortificarti il cuore, e te lo facciamo recitare con cura» (25:32).

L’esegesi tradizionale tornerà in seguito su questo punto con particolare attenzione, per sottolineare che non vi è contraddizione fra l’idea di una discesa avvenuta «in una volta sola», come pretendevano gli increduli, e la forma graduale con la quale il Corano è stato reso noto agli uomini. La parola di Dio, infatti, è stata fatta scendere in due fasi distinte. Una prima volta essa è calata tutta insieme dalla sua dimora nella «Tavola Custodita» fino al cielo di questo mondo, in un luogo invisibile definito «La Casa della Gloria» (bayt al-‘izza) o «La Casa Frequentata (dagli angeli)» (al-bayt al-ma’mur), collocata simbolicamente al di sopra del tempio della Ka’ba.

È a questa rivelazione unica e sintetica che Dio allude quando dice di avere fatto discendere l’intero Corano «in una Notte Benedetta» (44:3) o di averlo rivelato nella «Notte del Destino» (97:1).

Successivamente le rivelazioni sono giunte analiticamente al Profeta, un po’ alla volta, affinché egli le potesse meglio memorizzare, affinché i suoi fedeli non fossero gravati da un carico troppo grande da assimilare tutto insieme, e infine affinché Muhammad potesse più facilmente tollerare il peso della parola divina.

La rivelazione era infatti penosa per il Profeta. Ogni volta che la parola di Dio scendeva su di lui, egli era come rapito dall’ambiente che lo circondava, cominciava a tremare, a sudare, e l’esperienza lo lasciava sempre molto provato. Khadija doveva mettergli addosso una coperta dopo le rivelazioni, perché il suo corpo fremeva tutto, quasi che fosse in preda a una fortissima febbre. ‘A’isha, un’altra delle sue mogli, racconterà che una rivelazione avvenuta in inverno, con un freddo intensissimo, gli aveva lasciato la fronte madida di sudore. La discesa della parola di Dio costituiva per lui un peso anche nel senso più letterale del termine. Un suo celebre scriba e discepolo, Zayd ibn Thabit, ricorderà che un giorno il Profeta gli si era addormentato sopra una gamba; in quel frangente avvenne una rivelazione e Zayd avvertì un peso insopportabile, tanto da temere che la gamba gli si spezzasse.

In un’altra occasione la rivelazione discese quando Muhammad stava cavalcando la sua cammella, e questa, quasi schiantata dal fardello improvviso, si piegò sulle ginocchia.

La tradizione ci ha riferito numerose testimonianze, dello stesso Profeta o di chi gli era vicino, per descrivere le modalità di queste rivelazioni. La parola utilizzata nel Corano per definire l’ispirazione profetica è “wahy”, che secondo gli antichi dizionari arabi esprime l’atto di significare qualcosa rapidamente, attraverso un enigma o una metafora, per mezzo di un suono incomprensibile, con un movimento del corpo o con l’uso di un’iscrizione.

Un versetto coranico allude alle differenti modalità con le quali l’uomo può percepire l’ispirazione divina: «A nessun uomo Dio parla se non per ispirazione, oppure dietro un velo, oppure invia un messaggero con il Suo ordine a rivelare quel che vuole, Egli è l’Altissimo, il Sapiente» (42:51).

La tradizione ha tratto da queste parole un principio di ordine generale, per cui l’ispirazione può sorgere nel cuore, sia in stato di veglia sia nel sonno, senza intermediari e senza che la si possa percepire con un organo dei sensi; un’altra forma è quella rappresentata dall’ascolto della voce di Dio, una voce ovviamente diversa da quella dell’uomo e che solo l’interessato riesce a udire attraverso una sensazione strana e indescrivibile; infine, l’ispirazione può avvenire attraverso la mediazione di un angelo, che appare sotto forma umana o, molto più raramente, in “forma sottile”.

Per quanto riguarda Muhammad più particolarmente, l’ispirazione che accompagnava la rivelazione del Corano gli si poteva manifestare in modi diversi. Interrogato un giorno su come avvertisse il sopraggiungere della rivelazione, egli affermò: «Talvolta, e questo è il modo per me più penoso, sento un suono simile al tintinnio di una campanella, e quando questo finisce tutto ciò che la voce ha detto mi rimane nella memoria; altre volte, invece, l’angelo mi appare

sotto forma d’uomo».

Gli interpreti hanno in seguito cercato di definire meglio queste modalità, senza tuttavia poter esprimere certezze assolute. Quasi tutti concordano, però, sul fatto che con l’esempio del «tintinnio di una campanella» il Profeta volesse alludere alla natura cadenzata del suono che avvertiva in quelle circostanze, come se la voce gli parlasse in maniera ritmica e continua; altri hanno poi aggiunto che, proprio come è difficile stabilire da che parte giunga il suono metallico di una campanella, allo stesso modo la voce sembrava arrivare da tutte le direzioni, perché Dio

trascende la dimensione spaziale.

Quali che fossero le modalità di questo tipo di ispirazione, il Profeta la considerava come particolarmente penosa, e si è già detto degli effetti debilitanti che essa provocava sul suo fisico. Il suono doveva essere così acuto e penetrante

che ‘Umar, uno dei più intimi fra i compagni di Muhammad, raccontò un giorno di averne lui stesso sentito gli effetti: trovandosi a fianco del Profeta al momento di una rivelazione, aveva infatti potuto distintamente percepire vicino al suo volto un rumore molto intenso, simile al ronzio di uno sciame di api. Quanto alla visione dell’angelo, qualche interprete antico ha avanzato l’ipotesi che per i primi tre anni la rivelazione fu portata a Muammad da Israfil, l’angelo che annuncerà la fine dei tempi, e solo in seguito Gabriele avrebbe preso il suo posto; ma la maggior parte delle testimonianze concorda sul fatto che sin dall’inizio si trattò di Gabriele, considerato in effetti dalla teologia tradizionale come l’angelo specialmente deputato alla trasmissione del Verbo divino.

La visione angelica, ebbe a dire il Profeta secondo un’altra tradizione, «era per me la più agevole», perché Gabriele era solito assumere sembianze umane nelle sue apparizioni. In alcune circostanze l’angelo si palesava sotto spoglie di sconosciuti, come quando comparve all’improvviso nelle vesti di uno straniero mai visto prima, con abiti bianchi e senza alcun segno di viaggio sulla sua persona. In quell’occasione tutti poterono vederlo, e tutti si meravigliarono dell’autorevolezza con la quale si rivolse a Muhammad, interrogandolo sulle verità della religione; solo dopo che se ne fu andato, il Profeta rivelò ai suoi discepoli che si trattava di Gabriele.

L’ispirazione profetica, dedicata in primo luogo alla dettatura del Corano, poteva avvenire anche per illuminare Muhammad su questioni diverse, senza divenire parte integrante del libro sacro. Per i musulmani è evidente che il Profeta ha ricevuto da Dio informazioni delle quali non vi è traccia nel testo coranico, come avviene per la maggior parte dei dettagli del rituale, che il Corano ignora o ai quali accenna solo fugacemente e che invece Muhammad istituì nei minimi particolari così come gli erano stati dettati.

La tradizione ha voluto per questo distinguere fra due tipi di rivelazione: quella «recitata», cioè letta dal Profeta per essere registrata nel Libro Sacro, e quella «non recitata», che egli ha riferito con parole proprie o che ha illustrato attraverso il suo esempio personale. Si dice che una volta Muhammad abbia affermato: «Mi è stato dato il Corano e, assieme a esso, altre cose similari»; fra queste «cose similari» sono da annoverare tutti quegli insegnamenti nei quali Dio parla in prima persona e che il Profeta riferì per l’edificazione spirituale dei credenti.

Queste parole, non così vincolanti come quelle registrate nel Libro rivelato ma altrettanto autorevoli, sono divenute oggetto di studio presso i dotti musulmani, che ne hanno compilato diverse raccolte, più o meno ampie, conosciute sotto il nome di « Tradizioni Sacre » (hadith qudsi).

LA VITA DEL PROFETA MUHAMMAD
LA VITA DEL PROFETA MUHAMMAD

Pubblicato da vincenzodimaio

Estremorientalista ermeneutico. Epistemologo Confuciano. Dottore in Scienze Diplomatiche e Internazionali. Consulente allo sviluppo locale. Sociologo onirico. Geometra dei sogni. Grafico assiale. Pittore musicale. Aspirante giornalista. Acrobata squilibrato. Sentierista del vuoto. Ascoltantista silenziatore.

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